Un taglio netto. Il dono dei capelli

Tra metafora del dono e buone pratiche è uscito per Harpo il libro di Giusy Giambertone e Paola Napoleone
Spesso usiamo l’espressione dare un taglio quando proviamo nelle nostre vite a resettare qualcosa e a ricominciare. Espressione metaforica per eccellenza, il taglio netto del titolo ha anche un significato letterale, ad indicare la rinuncia a qualcosa di noi che quando tagliamo diventa dono. Il dono dei capelli. Affronta un tema difficile e probabilmente sottostimato il libro UN TAGLIO NETTO. Il dono dei capelli edito da Harpo Editore e scritto da due addette ai lavori dalla particolare sensibilità, che hanno voluto invece sottolineare un aspetto, nella malattia, che riguarda al pari e più di altri la qualità della vita. L’una è Giusy Giambertone, imprenditrice con la Tricostarc, cresciuta in una ‘fabbrica di parrucche’ dall’attività lunga generazioni, docente di tricologia protesica, consigliere di amministrazione della Fondazione Prometeus, che svolge ricerca e realizza progetti per il sostegno alle pazienti affette da carcinoma mammario. L’altra è una psicologa clinica, Paola Napoleone, attiva anche nei supporti individuali in un progetto psicotricologico, già scrittrice, con un altro libro all’attivo. Due professionalità diverse che hanno trovato nell’amicizia prima, in paralleli percorsi di carriera poi, la capacità di offrire un peculiare contributo alla battaglia delle donne contro il cancro che qui raccontano a quattro mani con un obiettivo preciso. Attirare l’attenzione delle istituzioni sanitarie, dei medici, dei formatori, di chi opera nel sociale e delle persone tutte, su un problema che non sta dietro la malattia, ma le cammina accanto, generando ulteriore sofferenza: l’accettazione di una trasformazione del proprio corpo non voluta.
Si sopravvive di ciò che si riceve, ma si vive di ciò che si dona
Partono da C.G.Jung, le Autrici, quando fanno del dono il fulcro del libro. Rituale affrontato con colte digressioni da ogni angolazione, anche giuridica e normativa per quanto riguarda la donazione di capelli e le coinvolte associazioni del terzo settore, il donare viene contrapposto, a partire dall’etimologia stessa della parola (dal latino donum), al regalare, come un dare senza pretendere nulla in cambio, anzi come azione del comportamento prosociale. Si sentono echi di tanta saggistica, da Mariano Indelicato per il quale «il dono è il simbolo che serve a mettere insieme, a legare, laddove è proprio il legame a fare da perno nei passaggi dal simbolo al rituale, dal rituale ai riti e dal rito al mito».
Al richiamo all’antropologia classica e ai suoi molti esempi di società in cui il dono – lo scambio – costituisce uno degli elementi fondanti delle società stesse. Così come esistono ancora società che hanno preservato la loro armonia tradizionale, presso le quali lo scambio di doni rappresenta la quotidianità come comunità fortemente solidali, lo scambio di doni in un contesto come quello attuale contribuisce alla creazione di una socialità primaria che fa riferimento ad un noi ben definito, tesse reti di relazioni tra persone che allora non saranno più estranei gli uni agli altri.
L’uomo è soprattutto un essere relazionale e il dono può riproporsi come un riferimento per contrastare l’anonimato (da Introduzione di Marco Aime al Saggio sul Dono di M. Mauss).

Femminile singolare
Ad attraversare le 144 pagine del libro anche la testimonianza di una essenza del femminile che, lungi dal voler andare controcorrente rispetto al fondamento della parità sociale tra uomo e donna, punta a rivelare quei tratti di biologiche e psicologiche differenze nel suo atteggiamento verso la società per lo più coerente, capace di ascoltare, confortare, sostenere. Ed infatti donare i capelli altro non è che un comportamento sociale di cura, verso l’altra da sé, sentita empaticamente vicina. I capelli, fissazione femminile e non solo, vengono qui analizzati in un godibile excursus che si inoltra nella mitologia, nel loro potere simbolico, nella religione, nella storia e così la loro perdita, col suo portato di punizione, sacrificio, vergogna, dolore. Come pure un paragrafo si sofferma sulle conseguenze psicologiche di malattie come l’Alopecia, oggi letteralmente sotto i riflettori dopo il noto episodio che ha riguardato Jada Pinkett Smith durante la notte degli Oscar, che l’ha vista oggetto di una comicità irriverente e quanto meno ignorante di quelli che sono gli effetti delle Alopecie sulla psiche di uomini e donne, di cui colpiscono in modo così diretto virilità e femminilità. In un’epoca in cui peraltro l’ideale di Bellezza proposto è ossessivamente incentrato sulla cura del corpo piuttosto che sulla ricerca di un’armonia tra corpo e psiche, i capelli sono un elemento centrale nella comunicazione non verbale – spiegano le Autrici – e non averne, perderli, espone ad una nudità imprevista e improvvisa, che genera imbarazzo vergogna, angoscia, finanche, di fronte al proprio io mortificato.
Riparare. Il pudore come valore
La parrucca, che negli anni ‘60 andava più che di moda, diventa nel caso di una persona malata o in cura che abbia perso i suoi capelli, un intervento estetico riparatore. Asseconda il pudore come valore, un pudore che non è quello di chi vuole nascondere, occultare, diventando piuttosto un velo a protezione della propria intimità, perché essa è momentaneamente costituita dal dolore, dalla sofferenza, dalla malattia, che non si desidera ostentare. L’idea del dono si è concretizzata quindi nel Progetto Hair Smile, una tricoteca nata per soddisfare chi non può permettersi l’acquisto di una protesi di qualità che sia in adesione alla propria percezione di sé, attraverso lo strumento della donazione. E la parrucca diventa così ad personam, attraverso un percorso psicotricologico di rammendatura corporea che vede come intermediario la Tricoprotesica con il fine di ricostruire una identità lesa. Il Progetto Hair Smile è stato capace di accorciare le distanze tra donatori e riceventi, dando la possibilità di accompagnare il dono dei capelli con uno Smile, trasformatosi nel tempo in pensieri, disegni, manufatti. Tutti inevitabilmente espressione di una storia, che rivelano a chi riceve, mettendoli così in empatico contatto. Altro esito di un percorso che parte da lontano la Banca della Parrucca, che ha trasformato un prodotto accessibile a pochi in uno democratico, accessibile a tutti, nata dall’immersione da sempre di Giusy Giambertone in un mondo di capelli, materia fluida, flessibile, fluttuante, soffice, lucente, duttile, mutevole, identitaria, materia che un dolore privato e personale, un grave perdita inaspettatamente subita, ha saputo dotare di senso altro. E infatti oltre a raccontare una buona pratica, questo libro invita a riflettere sul senso del donare come cura per l’altro/l’altra cui riservare uno sguardo diverso. Di autentica empatia.

Una curiosità. Per ogni attività umana un Santo protettore
Non fa eccezione la tricologia, la cui protettrice – lo racconta Daniele Campo in un cameo nel libro – è Sant’Agnese, come sancito dalla Società Italiana di Tricologia che l’ha resa Patrona. Nella letteratura cattolica il Santo opera per intercessione dello Spirito Santo unicamente nell’ambito della comunione della Chiesa. Santa taumaturga, si è guadagnata il suo status con il martirio durante la persecuzione dei cristiani del 303, quando si narra che dopo il suo rifiuto di servire gli dei nel tempio di Vesta, veniva esposta nuda come insulto alla sua inattaccabile verginità, ma immediatamente coperta dai capelli cresciutile a rivestirla. Successivamente fu giustiziata, secondo diverse versioni con la decapitazione o trafitta da un pugnale. Il suo culto sopravvive ai giorni nostri, dove il 21 gennaio un rito viene celebrato per lei nella chiesa di Sant’Agnese in Agone. Fede, credenze, l’imponderabile e la scienza si intersecano poi in una motivazione scientifica tra quelle della scelta di Sant’Agnese come Patrona da parte della SITTRI. Ma per sapere qual è … bisogna leggere il libro, fino in fondo.
Restare belle
La cura della salute fisica, le terapie mediche finalizzate all’eliminazione della malattia, non esauriscono i modi per il perseguimento del benessere di una persona. Nel caso di chi perda i capelli a seguito di una patologia o come corollario/conseguenza di un trattamento medico, entra in gioco la Bellezza come processo, come relazione psicologica tra la persona, l’evento estetico e l’ambiente. Entrano in gioco le emozioni, della paziente e di chi la incontra, da governare e indirizzare trasformando la compassione in sostegno, e se possibile in gioco – e le Autrici lo hanno fatto, con le sfilate, con le parrucche-scultura – per restituire almeno dignità e rispetto e recuperare un quantum di armonia tra un corpo che cambia e una psiche che deve riconoscerlo e riconoscersi.