Il Metaverso tra Virtual, Augmented e Mixed reality. Ombre e Luci di un nuovo passaggio della trasformazione digitale.

Intervista a Derrick de Kerckhove
In un recente talk di AI Open Mind, si è parlato di “Metaverso e AI. Tra Virtual Reality, Augmented Reality e Mixed Reality” tra Michelangelo Tagliaferri, sociologo, fondatore di Accademia di Comunicazione, Domenico Natale, Software Engineering, Tommaso Di Noia, professore del Politecnico di Bari dove insegna Intelligenza Artificiale e Big Data Analytics, Mike Trizio, Ceo di WIDEVERSE, azienda spin-off del Politecnico specializzata in Realtà Aumentata/Virtuale/Mista, dove sono nate innovative App che utilizzano gli strumenti del metaverso e dell’AI, la giornalista Rossana Cavallari. Da tutti, un prevalente approccio di fiducia ed ottimismo verso i nuovi strumenti tecnologici, che così tanto, come è stato dimostrato, possono impattare nella vita lavorativa, industriale, didattica, ma anche ludica ed emozionale, delle persone. A fare l’avvocato del diavolo nell’occasione, però, Derrick de Kerckhove, sociologo e docente, esperto di new media, direttore scientifico di Osservatorio TuttiMedia e della rivista di cultura digitale Media Duemila, che al metaverso e in generale all’ibridazione persona–digitale sta dedicando da tempo ampie riflessioni verso una conoscenza più profonda di cosa dobbiamo e dovremo sapere nel nostro sempre più intimo rapporto con la tecnologia.
”Guida per autostoppisti al Metaverso”
Li ha chiamati così, Tommaso Di Noia, i suoi “appunti” di natura tecnologica sul metaverso, che non è, ancora, una realtà ma lo diventerà quando alcune tecnologie raggiungeranno un grado di maturità che oggi ancora non hanno. Tecnologie che sono alla base di questa nuova idea, di questo nuovo progetto, che in qualche modo dovrebbe essere una evoluzione di quello che abbiamo imparato a conoscere con il web. Che cos’è il metaverso? La grande domanda di oggi. Concorrono al metaverso alcuni aspetti tecnologici, alcuni aspetti di interazione tra l’ambiente all’interno del quale andiamo a muoverci e la nostra percezione dell’ambiente stesso, concetti quali: presence; avatar; home space (spazio all’interno del quale noi ricostruiamo quella che è la nostra casa in questo nuovo spazio virtuale); teleporting (possibilità di muoversi tra questi spazi virtuali); interoperbility (possibilità di permettere a più ambienti virtuali di interoperare); privacy and safety (questo nuovo mondo, questo nuovo modo di interagire e di fruire/scambiare di informazioni, deve essere costruito avendo sempre in mente la privacy e la sicurezza degli utenti); virtual goods e natural interfaces, lato business, beni virtuali che possono esser venduti e scambiati all’interno del metaverso e anche nuovi modi di pensare alle interfaccia di interazione. Tante di queste cose non sono nuove. La possibilità di teleportarsi da un ambiente ad un altro non è che la trasposizione in un mondo tridimensionale di quello che è il link nelle pagine web. Il metaverso quindi può essere visto come l’evoluzione, in un mondo tridimensionale, dello stesso concetto che è alla base del web: quello di fruire di informazioni. Il modo di farlo cambierà, sarà basato su interfacce più naturali, ma il concetto alla base è lo stesso. Gli spazi virtuali e i mondi virtuali sono cose che abbiamo già visto, ad esempio in Second Life, che ha avuto il suo picco tra il 2003 e il 2009, non più in auge, ma mai davvero “spento”. Ci sono alcuni elementi di Second Life nel metaverso, ma da qui a dire che il metaverso sarà un altro Second Life creato da Facebook e per Facebook, no. Il concetto di interoperabilità ci porta a pensare ad un qualcosa in cui ci saranno diversi Second Life all’interno dei quali ci si potrà muovere, si potranno portare le proprie informazioni e la propria identità in un modo molto semplice e naturale. Oltre a Second Life più recentemente ci sono nuove iniziative usate da adolescenti e pre-adolescenti, scenari all’interno dei quali è possibile fare videogames, come Roblox. Ma come si può costruire un qualcosa su tutti questi concetti che sono anche concetti di privacy e sicurezza? L’idea è che l’informazione che ci riguarda, il nostro profilo, che adesso è parcellizzata in mano alle diverse piattaforme con cui entriamo in contatto, sia di proprietà dell’utente e resti nel wallet dell’utente. Per arrivare ad un universo virtuale centrato intorno all’utente: è lui che possiede le sue informazioni, possiede i suoi avatar, e si muove con esse all’interno di questi mondi virtuali. Dovrebbe essere così.

Metaverse raising
Il metaverso, oltre a ruotare intorno ai concetti sopra descritti, per sorgere, ha anche bisogno di nuovo hardware oltre che di nuovi artefatti software per la fornitura di nuovi servizi che andranno a soddisfare le esigenze dei clienti finali: servono riproduttori, nuovi visori, smartphone che siano in grado di percepire lo spazio e così via. L’aspetto hardware è molto importante. Ma, soprattutto, il metaverso non sarà semplicemente un mondo virtuale in cui saremo immersi completamente, ma un mondo all’interno del quale i componenti virtuali e i componenti digitali avranno un ruolo e potranno essere fruiti, e potranno essere fruiti sia all’interno in uno spazio a sua volta virtuale (realtà virtuale) sia all’interno dello spazio fisico (realtà aumentata), o in uno spazio di realtà mista. Le applicazioni di questo nuovo strato tecnologico di VR, AR e MR sono infinite sia in campo medico, che ingegneristico, che per l’architettura e naturalmente per l’educational. Sono tecnologie che ridaranno vita o aumenteranno la vita degli strumenti che già esistono.
Fin qui tutto bene, sembrerebbe. 2duerighe ha incontrato Derrick de Kerckhove per capirei se e quali criticità, invece, il sociologo intraveda nell’espansione di questo nuovo ambiente virtuale.
Professor de Kerckhove, Metaverso come “estensione del reale”. È una cosa buona no?
Al momento attuale, il metaverso è forse la tappa più impressionante della lunga lista di novità portate dalla trasformazione digitale: raddoppia il nostro spazio e il nostro mondo, quello a cui siamo abituati, ci permette di attraversare il tempo in una dimensione osmotica. Non è certo una novità. Troviamo citato il metaverso in un romanzo post-cyberpunk del 1992 di Neal Stephenson, Snow Crash, e in Fahrenheit 451, un romanzo di fantascienza del 1953, scritto da Ray Bradbury da cui è stato tratto anche un film. A pensarci bene, la visione di Bradbury era molto ampia: aveva capito, anche prima di McLuhan, che in futuro il grande conflitto sarebbe stato tra libri e immagini, tra la costruzione dell’io individuale e delle opinioni personali attraverso la lettura e l’esternalizzazione di sé stessi in immagini in movimento su grandi schermi. Quello che possiamo vedere in Bradbury e Stephenson è la nascita di un’idea germogliante. Il fatto che avrebbe trovato diverse espressioni e alla fine sarebbe finita nell’industria rivela un modello che si adatta perfettamente all’attuale trasformazione digitale. Appena lanciato nel 1992, il concetto fu presto attualizzato da una successione di piattaforme come Active Worlds (1995), The Palace, e più tardi Second Life (2003) e altre di minor successo. Questo suggerisce che l’idea non sia stata un colpo di fortuna, ma parte integrante della trasformazione digitale in corso. Non è solo l’ennesima simulazione degli affari umani in forma digitale, ma anche la prevedibile duplicazione dell’hardware da parte del software estesa all’intero ambiente umano. Non c’è dubbio, comunque, che l’arrivo del metaverso come possibilità sia stato ulteriormente spinto dal distanziamento sociale imposto dal Covid-19, che ha fatto emergere un sentimento diffuso a favore di uno spazio che ci permettesse di spostarci altrove, mentre noi eravamo confinati a casa e soli.
Detto questo, non c’è motivo di limitare la prospettiva al mero intrattenimento o a una grande proposta commerciale. Al contrario, l’idea del metaverso esteso non solo agli ambienti di fantasia, ma anche a quelli reali, può avere un enorme valore per la società. Possiamo immaginare come una città in tutte le sue complessità potrebbe essere rappresentata per tutti i cittadini combinando le risorse esistenti e future della “smart city”, della “città gemella digitale” e del metaverso in quella che potrebbe essere genericamente chiamata la “meta-città“. Potrebbe non solo cambiare il modo in cui le persone pensano e sentono la loro città, avendo accesso in qualsiasi momento a tutti i suoi aspetti locali e globali, ma forse anche introdurre un nuovo tipo di orgoglio nei suoi confronti, un nuovo senso civico, oggi dolorosamente mancante tra i cittadini, giovani e meno giovani. La parola chiave del metaverso è, infatti, interoperabilità. Sarebbe disastroso se il controllo del metaverso fosse lasciato a Mark Zuckerberg dallo stolto Congresso degli Stati Uniti. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è un mondo digitale totalizzante, che sostituisca Internet (come ha effettivamente suggerito Zuckerberg) nelle mani di un unico proprietario/operatore!
Come influirà il Metaverso sulle categorie di spazio e tempo come le conosciamo?
Sullo Spazio. Paradossalmente, in un’epoca in cui sembra che tutto sia destinato ad essere mediato dalle macchine o delegato alle macchine, questo dipende e dipenderà, ancora una volta, da noi. La rivoluzione digitale ci dà, sembrerebbe, un nuovo spazio da occupare e vivere. Ma è bene ricordare che con il metaverso ci troviamo di fronte a tre spazi: lo spazio fisico, lo spazio virtuale (nelle sue varie varianti, realtà virtuale, realtà aumentata, realtà mista) e lo spazio mentale, che è anch’esso virtuale, che si intersecano e sono indipendenti. Dobbiamo imparare a gestire ciascuno nel suo tempo.
Sul Sé. Lo spazio mentale è il nostro immaginario interno, quello del protagonista del romanzo di Cervantes. La storia di Don Chisciotte nasce dalla lettura dei romanzi e dall’interiorizzazione dell’immaginario che è sempre stato guidato dalla letteratura. Il nostro immaginario ha fatto una specie di percorso a ritroso nella storia dei media, crescendo prima dentro di noi attraverso i romanzi e, in generale, attraverso qualsiasi testo, cioè attraverso la parola scritta. Poi questo mondo mentale ha cominciato a esternarsi, prima con la fotografia, e poi con la televisione, il cinema e da ultimo attraverso le infinite possibilità offerte dalla trasformazione digitale.Ed ecco il primo pericolo: l’esternalizzazione delle nostre facoltà può portarci, paradossalmente, a perdere alcune di queste facoltà. Pensiamo alla nostra capacità di orientarci, praticamente ammutolita dall’uso di mappe a guide vocali installate sui nostri dispositivi. Ci sono molte facoltà cognitive che diamo per scontate, ma che se non vengono utilizzate rischiamo invece di perderle. L’estensione della realtà è per me anche una minaccia di perdita di queste facoltà.
Sul Tempo. La tecnologia di per sé non espande né accorcia la vita: sul web le esperienze, le connessioni e le diverse offerte si moltiplicano e sembrano allungare la vita. Ma nello spazio reale, dove torniamo sempre, il tempo normale continua la sua corsa irreversibile e, spesso, non sappiamo goderci pienamente la vita reale. Forse sarebbe più utile chiedersi se il tempo che viviamo online arricchisce o impoverisce il senso della vita e, anche in questo caso, tutto dipende dalle scelte personali. In rete, come di persona, è possibile stabilire relazioni soddisfacenti, ma questo avviene solo se si è diventati “emigranti” dallo spazio reale a quello virtuale. Ognuno di noi reagisce a una richiesta misurando la risposta.
L’iperconnessione ci porta ad essere sempre presenti ovunque attraverso smartphone e tablet, la dimensione dello spazio fisico è stata quasi annullata e in qualsiasi momento e luogo possiamo vedere o sapere cosa succede altrove, e comunicare con qualcuno. E questo cambia il valore che ormai diamo al tempo, che è scomparso dal pensiero, in una frammentazione costante che può diventare intollerabile. Gli effetti a lungo termine delle tecnologie sul nostro rapporto con il tempo saranno probabilmente questi: il passato scomparirà, vivremo in un eterno presente e non ci preoccuperemo del futuro.

Professor de Kerckhove, Lei si stava già interrogando sul “fuori da noi”, da ultimo con il Digital Twin, il gemello digitale cui ha di recente dedicato anche un libro insieme alla giornalista Maria Pia Rossignaud. Quali sono le luci e quali le ombre di questo “fuori” digitale?
Come per il metaverso, credo che oggi sia fondamentale confrontarsi con il nostro alter ego digitale. Analizzare l’evoluzione del “gemello digitale” e tentare di prevederne lo sviluppo richiede un enorme, ma indispensabile, sforzo di immaginazione collettiva per creare le condizioni affinché il mondo di domani sia più giusto di quello di oggi.D’altra parte, oggi è ancora difficile immaginare i confini che avrà il gemello digitale. Sappiamo però che le grandi industrie tecnologiche puntano in questa direzione. Gli strumenti tecnologici ci semplificano la vita e ampliano le nostre possibilità, ma dobbiamo fare in modo che i dispositivi e la rete rimangano facilitatori, ma non ci privino di spazi di decisione autonoma.Il nostro è un mondo in cui la rivoluzione informatica è arrivata quasi come un cuneo per modificare le nostre vite. Siamo attualmente alle prese con una grave crisi epistemologica che pochi hanno previsto o addirittura capito. La realtà oggettiva e il conseguente processo decisionale si stanno spostando dall’osservazione e dalla deliberazione umana agli algoritmi. Questo potrebbe essere ancora vivibile se gli algoritmi fossero sempre “giusti” e affidabili, ma sono anche gli algoritmi che permettono e promuovono la compilazione e la distribuzione di fake news e le sue pericolosissime conseguenze sociali e politiche. Ma c’è di più, perché il successo delle fake news dipende dai bassi livelli di istruzione raggiunti da un settore crescente della società in tutto il mondo. E questo non è solo colpa del sistema educativo. Tutt’altro. È un problema inerente al profondo cambiamento psicologico che gli individui stanno inconsapevolmente attraversando oggi. Con questo voglio dire che in gran parte grazie allo smartphone e all’uso di schermi in generale, stiamo tutti riversando la nostra interiorità in internet. Stiamo delegando le nostre facoltà cognitive, come il ‘ricordare’ (non solo i numeri di telefono, ma praticamente tutto il resto) al nostro smartphone, e presto la nostra intelligenza, il giudizio e le scelte ai nostri assistenti digitali. Il gemello digitale personale è solo il passo successivo in questa tendenza a esternalizzare noi stessi, il nostro ego e il nostro potere decisionale. Ciò che sta accadendo politicamente in tutto il mondo con l’ascesa del populismo, è che le persone stanno perdendo il tipo di sostanza interna e di costituzione mentale che permette loro di resistere alle promesse vuote e al pensiero sciolto. Tante proteste sono spesso guidate da persone che non hanno reale idea di ciò di cui stanno parlando e nessun mezzo per informarsi meglio una volta che gli algoritmi li hanno condotti nei loro bozzoli da camera d’eco.Ed è qui che interviene il gemello digitale, come insieme di tutto ciò che si sa di noi online, ma che non conosciamo, tutte le tracce (consce o inconsce) che lasciamo mentre navighiamo, le interazioni sui social network, le informazioni che condividiamo, gli acquisti che facciamo… insomma, tutta la nostra attività su internet contribuisce a creare un’entità “altra” che, in qualche modo, però “ci rappresenta”.La scommessa di alcuni operatori è fare in modo che il nostro alter ego digitale riesca a convogliare tutto ciò che facciamo (si potrebbe quasi dire che “siamo”) sulla rete e a riappropriarsene. Spetterà al gemello digitale negoziare il trasferimento dei dati personali, consigliarci un prodotto piuttosto che un altro, indirizzarci nelle nostre scelte.Il gemello digitale, di cui esistono già diverse applicazioni, si affermerà come la nuova evoluzione del sé. Quel sé, quella nostra entità interiorizzata e distinta dal resto del mondo, è in pericolo. Perché nel dialogo tra macchine e persone è avvenuta una mutazione: il sé si è riversato nella rete, arrivando a modificare la propria natura.Il paradosso, evidentemente, è che stiamo andando verso un mondo in cui parte del nostro potere decisionale sarà delegato a un’entità astratta che in teoria ci rappresenta, ma sulla quale in pratica non abbiamo alcun controllo.Questo è il motivo per cui dobbiamo agire oggi. Proviamo a immaginare le conseguenze dell’affermazione del gemello digitale, per esempio, sui bambini, nelle scuole, nell’educazione in generale; ce la sentiamo di delegare l’educazione delle generazioni future a meccanismi fuori dal nostro controllo?
Il progresso non si ferma e non è, per sua natura, né negativo né positivo. Le applicazioni pratiche, però, possono essere socialmente devastanti. O, al contrario, auspica de Kerckhove, contribuire a creare delle società di individui più consapevoli di sé, degli altri, dell’altro da sé come le Intelligenze artificiali e gli abitatori tutti del pianeta. il ritmo della trasformazione stia crescendo e noi ne saremo il centro. Per questo è fondamentale sensibilizzare oggi l’opinione pubblica, i governi, le persone. E non smettere di porci domande. La nuova era dell’intelligenza artificiale e dei metaversi dipenderà delle domandeche ci facciamoe non più dalle risposte.
Chi è Derrick de Kerckhove
Direttore scientifico di Media Duemila e Osservatorio TuttiMedia. Professore al Politecnico di Milano. Ha diretto dal 1983 al 2008 il McLuhan Program in Culture & Technology dell’Università di Toronto. È stato docente presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II dove ha insegnato “Sociologia della cultura digitale” e “Marketing e nuovi media”. Si occupa di tecno-psicologia, campo di ricerca che ha creato per comprendere le connessioni tra tecnologia, linguaggio e sviluppo psicologico guidato dal linguaggio. Autore di numerosi libri, l’ultimo in ordine di tempo: “Oltre Orwell il Gemello Digitale”.«La cultura alfabetica, aumentata dalla stampa, è stata l’architettura di carattere gerarchico della comunicazione, o almeno di quella occidentale. Oggi siamo in un sistema fondato sull’algoritmo, che elimina l’uomo. L’algoritmo fa scelte, indirizza gusti, dice come votare… Ma il codice binario non ha bisogno di senso, solo di ordine. Dalla scomparsa del valore del significato deriva il caos attuale. Serve allora un movimento per riformare le strutture di coesione sociale e rovesciare l’attuale crisi epistemologica per ritrovare una comunicazione basata su qualcosa di completamente nuovo». “Il gemello digitale è la nostra vita riprodotta e raccontata dai dati; un “altro noi” che si fa strada grazie al mondo degli assistenti virtuali, che incarna tutte le facoltà umane e le trasforma in un tutt’uno, rendendoci «trasparenti». Saremo capaci di gestire questi strumenti per il bene di tutti, o finiremo per delegare loro poteri considerevoli, perdendo le capacità che ci rendono esseri umani, come l’intelletto, il giudizio, l’immaginazione? L’unico modo per non farci sopraffare è riuscire a riappropriarci della gestione dei nostri dati, pretendendo garanzie politiche e giuridiche più elaborate di quelle già esistenti. Dobbiamo essere noi a costruire il nostro gemello prima che lo facciano altri.”.