Bunny Boy, l’ultimo romanzo di Lorenza Ghinelli

La crudeltà umana raggiunge determinati livelli che difficilmente un altro essere vivente sarebbe in grado di raggiungere: questo è solo uno dei messaggi che il lettore si porta a casa leggendo l’ultimo romanzo della scrittrice Lorenza Ghinelli “Bunny Boy” (edizioni Marsilio).
Bunny Boy
Se non fosse accompagnato da una copertina abbastanza parlante, il titolo potrebbe suggerire qualcosa di mite o al massimo di fantastico, di onirico: qui ci troviamo davvero in un altro universo.
La storia narra di Graziano, partendo da alcuni flashback riguardanti la sua vita da bambino e poi da ragazzino, andando a risalire fino alla sua infanzia, lì dove si annida la matassa dei suoi problemi, che sono diventati tali grazie a figure estranee e che hanno colpito la sua tenera età in una maniera a cui è difficile porre un qualsiasi rimedio.
Dall’altra parte della barricata, incontriamo nuovamente Nina, suo fratello Alfredo, Rasha e Nur che ancora stanno riemergendo dalla terribile esperienza vissuta con l’anziana Rebecca e che ancora non sanno chi o che cosa li stia aspettando dietro l’angolo.
Una sensibilità molto sviluppata
Nina in modo particolare capisce di essere quella più toccata dalla recente esperienza, proprio perché gli incubi la tormentano, il pensiero di chiudere gli occhi e dormire senza l’impianto cocleare nell’orecchio la atterrisce e quindi a soli 11 sta sperimentando cosa voglia dire l’insonnia più profonda e gli effetti pesanti e ingestibili che questa causa nella sua quotidianità: scarsa attenzione a scuola, irascibilità, scarso appetito.
Quando poi si affacciano dei sogni a occhi aperti in cui il protagonista è proprio un altro soggetto, con questa testa morbida da coniglio che tenta di trascinarla nei suoi incubi, in quel tombino profondo e nero, dove non si affaccerebbe alcuna anima che sia viva, allora Nina capisce che qualcosa di ancora più spaventoso sta accadendo.
Sulla falsa riga di quanto già proposto da molti scrittori (in primis tra tutti Stephen King), l’autrice propone in chiave particolare e coraggiosa l’infanzia dei protagonisti, ognuno di essi attraversati dai propri crucci e problemi apparentemente insormontabili.
Questi giovanissimi che nonostante tutto riescono a trovare nella loro unione (fatta di alti, bassi, nervosismi, gesti fatti con leggerezza) quella forza che permette loro di affrontare un serial killer come Bunny Boy.
Quell’infanzia rovinata per sempre
Graziano è solo un bambino e come tale ci sono cose così semplici che lo rendono felice: stare con la sua mamma, guardare il suo cartone animato manga preferito ed essere lasciato in pace dai compagni che lo bullizzano senza un reale motivo.
Ma anche in tenera età, i bambini sono sì capaci di compiere i più grandi gesti di affetto e di maturità come anche però le azioni più cattive, violente, ingiustificate.
I segni che lasciano tali eventi nella vita di un bambino, già sufficientemente traumatizzata da un padre violento e sparito dalla famiglia senza alcun motivo reale, sono profondi, sono feroci e fanno più male di quanto ci si possa immaginare.
Bunny Boy lo chiamavano e quel nome resterà appiccicato a Graziano per sempre, fin quando non riuscirà a mettere ordine in quella sua vita passata, ma anche in quella presente e futura.
L’autrice scava dentro l’animo umano di due soggetti così diversi (un uomo adulto, un serial killer e una bambina sorda, dotata di una sensibilità molto acuta), riuscendo a portare a galla i traumi e le sofferenze che incredibilmente accumunano i veri protagonisti di questa storia.
La capacità di accettare se stessi: questo il più grande insegnamento che Nina trae da questa nuova esperienza. Accettarsi con anche quella parte di sé che fa più paura, che più spaventa solo perché inizialmente così sconosciuta, ma che ci rende diversi dai nostri coetanei e che dunque può rapidamente diventare un pregio e non necessariamente un difetto.