«È la stessa cosa pensare e pensare che è»: il ricordo del professor Riccardo Dottori

«È la stessa cosa pensare e pensare che è». Si tratta di una frase estratta dal frammento 8 di Parmenide, una tra le più citate nelle sue lezioni dal professor Riccardo Dottori, spentosi nella giornata del 22 agosto all’età di 80 anni.
La causa della morte, avvenuta a Numana, è stato un malore che lo ha colto mentre era in acqua. I soccorsi, intervenuti tempestivamente, non sono riusciti a rianimarlo. Ieri si sono svolti i funerali presso la Chiesa Santa Maria in Moie di Maiolati Spontini.
Vogliamo rendere qui omaggio al professor Dottori ripercorrendo brevemente la vita e l’impegno accademico.
Una vita all’insegna della filosofia, dello studio, della cultura
Nasce il 27 novembre 1940 a Maiolati Spontini, in provincia di Ancona, il paese dove aveva deciso di tornare una volta in pensione. Si laurea in Filosofia della Religione con il prof. Enrico Castelli nel 1965 all’Università di Roma La Sapienza, lavorando poi come assistente volontario presso la cattedra di Filosofia della religione del prof. Castelli. Nel 1966-68 è all’Università di Tubinga come assistente dei professori Karl Ulmer e Joseph Moeller. Nel 1969 ottiene una borsa di studio con la quale svolge ricerche all’Università di Heidelberg fino al 1970; è qui che inizia a lavorare come aiuto assistente di Hans-Georg Gadamer. Con una Borsa di ricerca del CNR, si sposta all’Università di Paris X (Nanterre) sotto la direzione di Paul Ricœur.
Nel 1973 è Assistente ordinario all’Università di Perugia e nel 1985 professore associato; nel 1988 viene chiamato come professore associato alla Cattedra di Filosofia della Religione all’Università di Roma Tor Vergata, dove nel 1999 diventa professore ordinario di Ermeneutica filosofica.
Dal 2011 è professore in quiescenza e professore a contratto per Ermeneutica filosofica e Filosofia teoretica, dal 2016 al 2020 con il titolo di Docens Turris Virgatae presso l’Ateneo di Tor Vergata.
Nel corso degli anni ha organizzato numerosi convegni, mostre di pittura su temi filosofici e recentemente dei Meetings tra filosofia italiana ed americana alla Italian Academy for Advanced Studies alla Columbia University, alla New York University e all’Università di Roma Tor Vergata; gli Atti degli ultimi Meetings sono pubblicati nella Rivista Internazionale «The Dialogue, Das Gespräch, Il dialogo» da lui fondata e diretta.
Riccardo Dottori era anche un riconosciuto cultore d’arte. Membro della Fondazione Giorgio e Isa De Chirico, aveva dedicato a Giorgio De Chirico numerosi saggi e una recente biografia dal titolo Giorgio de Chirico. Immagini metafisiche, pubblicata nel 2018 per La nave di Teseo, libro tra i finalisti del Premio Comisso 2019 sezione Biografia. Oltre all’arte, la musica classica e l’opera lirica erano le sue grandi passioni.
Una lezione di filosofia per il futuro
Che professore era Riccardo Dottori? Questo è un dato tutt’altro che oggettivo, un dato che non può evincersi dalla sola lettura di un curriculum accademico. Si tratta di un dato soggettivo, che gli studenti, gli ex-studenti, gli allievi, gli assistenti sono solitamente più titolati ad esprimere.
Che professore era Riccardo Dottori? La redazione di 2duerighe accoglie o ha accolto tra le sue file molte persone che hanno studiato Filosofia a Tor Vergata e che hanno avuto modo di conoscere il professor Dottori. Chi scrive è una di quelle persone.
Parliamoci chiaro… sostenere l’esame con il prof. Dottori era una faccenda abbastanza impegnativa. Era opportuno seguire quante più lezioni possibile… per iniziare a capirci qualcosa, per iniziare ad entrare nel vivo delle questioni. Quello che accadeva in un corso del professor Dottori era qualcosa di davvero particolare, sembrava di assistere alla riproposizione in diretta dello scorrere della storia della filosofia. Un corso su Hegel o su Nietzsche non poteva non prendere le mosse dal mondo greco, nel caso di Hegel un buon punto di partenza poteva essere Parmenide, nel caso di Nietzsche Socrate e la tragedia greca. La sensazione non cambiava… quello che sembrava andare in scena era il manifestarsi davanti agli occhi di studenti, spesso attoniti, della storia della Filosofia.
Raramente sono solita scrivere un articolo utilizzando la prima persona singolare, perché quello che va trasmesso in un articolo di giornale è un’informazione che richiede, in quanto tale, oggettività e precisione. Ma in questa sede, mi sto permettendo di rendere un omaggio e insieme un saluto.
Il professor Dottori è stato il mio relatore della tesi triennale e il mio primo punto di riferimento nel mondo dell’Università. La scelta di averlo come relatore è ricaduta su di lui esattamente il primo giorno di Università, durante la mia prima lezione di Filosofia Teoretica, la mia prima lezione universitaria in assoluto. Il corso era sul Teeteto e il Sofista di Platone (spoiler: non siamo mai arrivati a leggere il Sofista, siamo rimasti tutti avviluppati nelle trame del Teeteto). Quello che ho pensato alla fine della lezione è stato: ma è Platone quello che ha spiegato questo professore? Posso dire che è a partire da quelle lezioni che ho iniziato davvero a capire come studiare la filosofia. Non credo sia assolutamente un caso se da lì in avanti ho scelto di continuare a studiare Platone.
A partire da quel corso ho iniziato a comprendere che la filosofia è un farsi. Durante tutta la durata del corso, abbiamo letto e analizzato il testo, ci siamo interrogati su ogni argomentazione e soprattutto abbiamo contestualizzato l’opera, abbiamo capito la sua portata in relazione al tempo di Platone, alla polemica con il mondo della sofistica impersonato da Protagora, ma cosa ancor più importante l’abbiamo fatto parlare CON noi, con la contemporaneità. Da un testo di filosofia antica, siamo arrivati a parlare di teoria della percezione, siamo arrivati a parlare della consistenza o inconsistenza del relativismo, siamo arrivati a parlare di postmodernità, abbiamo coinvolto autori del Novecento come Lyotard,Derrida, Rorty, Boghossian. Ci siamo interrogati sulla verità e sull’importanza della ricerca della verità (l’unica verità? la mia/la tua verità?). Ancora ricordo bene come, sempre nel contesto di quel corso su Platone, ci siamo ritrovati un giorno a lezione Günter Abel, professore alla Technische Universität Berlin, venuto a parlarci del suo testo, allora prossimo alla stampa, La filosofia dei segni e dell’interpretazione.
Questo è il primo ricordo che mi è venuto in mente in questi giorni di tristezza, ma di ricordi ce ne sarebbero molti e in questo sta la fortuna di aver conosciuto un professore come Riccardo Dottori. Alle lezioni di Platone hanno fatto seguito i corsi su la Scienza della Logica e la Fenomenologia dello Spirito di Hegel, il corso che forse gli piaceva più fare, vale a dire quello su Verità e Metodo di Gadamer e ancora il corso sulle Ricerche Filosofiche di Wittgenstein.
Un professore che si è sempre contraddistinto per la sua capacità di dare spazio a chi era giustamente motivato ad imparare e mettersi alla prova. Ricordo perfettamente i seminari che ognuno di noi studenti, a partire dal primo anno della triennale, eravamo chiamati a sostenere; ognuno leggeva una parte di testo assegnata, la commentava e ne discuteva per poi aprire il dibattito con il resto dei presenti e creare una proficua discussione sul tema. Questa era la modalità “tedesca” della lezione di filosofia, questo era il modo di fare filosofia che Dottori aveva imparato, tra gli altri, da Gadamer.
Poi c’era il lato umano e più confidenziale. Ogni corso si concludeva con una cena in qualche ristorante o spesso e volentieri a casa sua. La consuetudine delle cene con il professor Dottori è continuata nel corso del tempo, perchè era una piacevole occasione per stare insieme, mangiare bene (ricordo ancora un delizioso e succulento scorfano al forno in crosta di patate cucinato da lui) e a degustare del buon vino, fino ad arrivare negli ultimi anni a degustare il vino fatto e prodotto dal figlio Edoardo. Anche quelle cene, fortunatamente, sono momenti che conserverò e che conserveranno tutte le persone che almeno una volta vi hanno partecipato. Quelle cene erano momenti in cui ognuno di noi raccontava al professore e agli altri presenti di quale ramo della filosofia o di quale filosofo si volesse occupare, in cui si festeggiavano i traguardi raggiunti, in cui ognuno esprimeva i suoi progetti futuri.
E poi erano momenti in cui si ascoltava. Si ascoltavano le storie del professore, delle grandi personalità che aveva avuto modo di conoscere come Heidegger, Gadamer, Ricoeur, delle serate trascorse con Gadamer fino a tarda notte a parlare di problemi filosofici e bere vino, delle piccole o grandi rivalità incontrate nel corso della sua vita accademica, dei molti convegni che aveva organizzato o a cui aveva partecipato, di tanti episodi divertenti e mordaci. Per poi arrivare a parlare dei suoi progetti, perché il professor Dottori aveva sempre un nuovo progetto, una nuova ricerca da iniziare, un nuovo libro da scrivere, un nuovo viaggio da compiere. E da quell’energia e da quella passione noi potevamo solo trarre ispirazione. Credo che quella passione sia stata il più grande insegnamento.
Grazie professore, è stato un vero piacere conoscerla!
Il nostro pensiero e il nostro sincero cordoglio vanno alla famiglia.