La luce della follia di Daniel Picouly

La cattiveria dell’uomo, dell’essere umano è capace di raggiungere gli apici più elevati, oltrepassarli senza nemmeno rendersene conto fino al momento in cui è la morte stessa a fermarla. Daniel Picouly nel suo romanzo “La luce della follia” dipinge un quadro dove i personaggi si intrecciano, tutti spinti proprio dalla cattiveria più pura e semplice.
La luce della follia
Un titolo come questo sopra riportato è già descrittivo di per se stesso: la pazzia, la follia, la vena che si chiude, i traumi pregressi. Tutti ingredienti che possono miscelarsi insieme e spingere un essere umano a compiere degli atti incivili, illegali, fuori dal contorno della normalità e della sanità mentale.
La presentazione dei personaggi, dei protagonisti in questa storia di vendetta, all’inizio risulta un po’ confusa e non molto chiara: la scrittura di Picouly sembra essere veloce, rapida, quasi sfuggente all’occhio e alla mente del lettore. Tanti dettagli fin dalle prime pagine, tante ambientazioni diverse che si susseguono l’una dietro l’altra.
Fin dalle prime righe conosciamo la principale attrice di tutta questa storia, la bellissima Héra, cameriera in un un ristorante francese, passionale e determinata e la conosciamo nel momento in cui il corpo viene sconvolto da un aborto: durante il servizio comincia a sentire delle fitte molto forti alla pancia, seguite da un copioso sanguinamento che in una situazione di normalità il lettore penserebbe ad una corsa in ospedale, veloce e accompagnata da un marito o un fidanzato.
No, tutto questo non accade e la crudezza della scrittura di Picouly traspare da questa prima vicenda: Héra porta a termine l’aborto in corso da sola, accompagnata da una sua amica, all’interno di un bagno pubblico del suo liceo. Una vicenda così delicata e così privata che di solito sconvolgerebbe qualsiasi donna, qui viene descritta in tutti i suoi dettagli più diretti e crudi, senza lesinare su nulla, neppure sul dolore.
Una vendetta che prende forma
Ma di chi era incinta Héra? Dov’è il padre del bambino e soprattutto, chi è? Lo conosciamo poco dopo e capiamo che la situazione ha già qualcosa di deviante e di sbagliato nel momento in cui ci viene rivelato il personaggio di Francois, che ha dalla sua parte già una famiglia e che quindi viene subito inserito nella casella del marito bastardo a cui non basta la propria moglie e figlia, ma decide di farsi anche l’amante e per di più la mette incinta. Un debole, un uomo che la stessa Héra definisce “molle, senza spina dorsale, senza contorni”, dal quale è però fortemente attratta e verso cui prova un sentimento sempre in contrasto.
La vicenda a questo punto si sposta su un altro binario e così conosciamo Ivan, il fratello gemello di Héra: più di un fratello, quasi la sua continuazione, la sua propagazione, come se questi due soggetti fossero legati e stretti in un legame non solo familiare, ma torbido, violento, sbagliato e incentrato sulla gelosia e la passionalità.
Ivan è forte, è un uomo che sa quello che vuole e che non permette a niente e nessuno di mettersi in mezzo tra quello che sono le sue priorità, le sue pulsioni, le sue vicissitudini personali che hanno l’assoluta priorità: così dunque si comporta nel momento in cui violenta Denise, la moglie di Francois, riducendola in uno stato di disastro fisico tale da dover essere ricoverata in un ospedale ed essere costretta alla sopravvivenza solo perché attaccata ad una macchina.
A tutto questo si aggiunge la figlia di Denise, Lachoune, che ignara di tutto finisce nella rete di Ivan e assiste alla violenza della madre, ma riuscendo a salvarsi al pelo e rimanendo però ferita per sempre nella mente e nel cuore.
Una storia nata dalla violenza che termina nella violenza
Nessuno si salva da un girone infernale come questo: i personaggi che cominciano a intrecciarsi sempre di più in questa storia, finiscono per riconoscersi tra di loro e terminano il loro viaggio quasi abbandonandosi a quel sentimento che li ha accecati fin dall’inizio.
Un amore sbagliato verso un uomo sposato e un bambino che non doveva venire al mondo; una madre e una figlia tradite, ferite nella mente e nel corpo e costrette ad accettare il veloce avvicendarsi della tragedia; un rapporto di gemellanza che troppo si concentra sulle vecchie storie di famiglia che fondamenta non ne hanno e che finiscono per lesinare anche un rapporto di sangue, senza poter tornare indietro mai.
Daniel Picouly sfodera una storia che non può essere nemmeno definita un pugno nello stomaco, ma qualcosa di ben peggiore perché mette in scena quel sentimento che è parte di ogni essere umano e che non permette una via d’uscita a nessuno dei protagonisti, nel momento in cui gli permettono di prendere il sopravvento e di guidare ogni loro singola azione.