Tra lockdown e violenza sulle donne: l’arte secondo Adrian Paci

Il nuovo video di Adrian Paci riflette sulla violenza domestica
La tradizione storiografica più inflazionata e leggendaria sostiene che una buona parte delle opere d’arte, o quanto meno dei capolavori che oggi ammiriamo in tutto il pianeta, sono nate accidentalmente, nel vero senso etimologico del termine. Un accidente, appunto: un evento casuale che, frappostosi nel corso di un processo evolutivo, ne ha modificato sostanzialmente, e inesorabilmente, il decorso naturale, o supposto tale. Non fa eccezione il video di poco meno di dodici minuti Vedo Rosso. Recentemente presentato a Lo schermo dell’arte (e visibile on line su MyMovies fino al 22 novembre), festival giunto al suo tredicesimo anno di vita, Vedo rosso è l’ultima, profonda e intensa produzione, in ordine di tempo, dell’artista originario di Scutari, ma naturalizzato milanese, Adrian Paci. Invitato ad occuparsi di un nuovo progetto per Mascarilla 19- Codes of Domestic Violence, come tutti noi anche l’artista si trovava, suo malgrado, rinchiuso tra le quattro mura domestiche nel pieno della crisi pandemica, senza uno studio o un atelier a disposizione, né la strumentazione adeguata per rispondere ad una chiamata così significativamente importante dal punto di vista etico, prima ancora che artistico. Perché, se in condizioni psicofisiche “ordinarie”, il lockdown ha rappresentato un momento di rilevante disagio, varrebbe la pena chiedersi, o provare a immaginare, cosa possano aver sofferto le donne, chiuse in casa e costrette, senza possibilità di uscita, a subire le violenze del proprio partner.

Vedo rosso, un riuscito dialogo tra arte e lockdown
Con questo scomodo interrogativo, e con le limitazioni tecniche imposte dal confinamento coatto, Adrian Paci, armatosi dell’arguzia e della sensibilità delle quali è sommamente dotato, ha impugnato il proprio iPhone e ha cominciato a fare delle riprese. Ma, ad un certo punto e quasi inspiegabilmente, ha cominciato a “vedere rosso”: pensando ad un improvviso glitch tecnico, l’artista ha infine constatato che si trattava del proprio pollice che, accidentalmente insidiatosi davanti all’obiettivo della camera, ne aveva impedito il corretto funzionamento. Ed è così che il particolare, sanguigno colore risultato sullo schermo, diventa espediente tecnico, cromatico e narrativo per una nuova metafora poetica tra cinema e pittura. Il rosso della carne, vista da una distanza ravvicinatissima, lascia spazio e possibilità alle parole dell’autrice teatrale Daria Deflorian di irrompere con estrema violenza e inaudita verità: la voce narrante ripercorre il viaggio, fisico e psicologico, di una donna e dell’escalation di violenza che si è trovata a subire dalle mani e dalle parole del proprio partner. Tra singulti di consapevolezza e momenti di opacità psicologica, la tessitura cromatica purpurea lascia spazio a rapide visioni di un occhio, che non è un occhio qualsiasi: è il frammento del volto di una delle donne siriane filmate da Paci a Beirut nel 2018. La trama si infittisce di significati reconditi e profondi, incorporando un altro tema caro all’artista, quello del flusso migratorio e delle sue più radicate problematiche: dalla negazione della parola, alle difficoltà del movimento legato alla salvezza. In questo caso specifico, la negazione dell’immagine attraverso l’ostacolo cromatico si trasforma in un rinnovato artificio lirico di estrema suggestione. Con Vedo rosso Adrian Paci conferma nuovamente la rara sensibilità che lo contraddistingue, prima come uomo che come artista, nella fine tessitura di un’opera figlia del suo tempo, e quindi modernissima ma contemporaneamente intramontabile nella sua ispirazione.