A visual protest: Banksy in mostra a Roma tra genio e contraddizione

“The invisibility is a superpower”: così apre la mostra, A visual protest, inaugurata al Chiostro del Bramante di Roma l’8 settembre, che ospiterà oltre 90 opere di Banksy fino all’11 aprile 2021. La frase in azzurro spicca sul fondo grigio del muro della prima sala, accanto all’opera forse più famosa dell’artista, Girl with a balloon (2002), simbolo della campagna “Stand with Syria” per aiutare il popolo siriano messo in ginocchio dalla guerra. Ma se è vero che la forza del messaggio di Banksy sta nella condanna del sistema capitalista e consumista del mondo contemporaneo, perché Girl with a balloon è diventata soggetto di merchandising ed è stata registrata come marchio dall’artista? E per quale motivo ci ritroviamo oggi in uno spazio espositivo come quello del Chiostro a pagare per una mostra del famoso street artist finendo così a sostenere quel sistema dell’arte contemporanea che lui tanto condanna?

Bansky: genio contemporaneo o writer sopravvalutato?
Scimpanzé in Parlamento, ratti come street artists, banane al posto di pistole, elicotteri da guerra infiocchettati da nastri rosa, mazzi di fiori come armi sono solo alcuni dei soggetti delle più famose serigrafie dell’artista, acclamatissimo dal pubblico, un po’ meno dalla critica. Il fatto che sia così popolare non significa infatti che abbia, artisticamente parlando, una grande personalità. Sicuramente ciò che si è costruito attorno, dall’identità nascosta al modo stesso di lavorare – tramite blitz lampo che non lasciano alcuna traccia – ha contribuito a renderlo un mito del contemporaneo. Il solo modo di comunicare, così essenziale e diretto, sempre al passo con gli accadimenti politici e sociali del periodo – ricordiamo tutti il ritrovamento della porta del Bataclan da lui dipinta – è stato il metodo più efficace per fare breccia nei cuori della mediocrità. L’appropriazione da parte dell’artista di certi simboli per poi rielaborarli in chiave critica e dissacrante è legata al giudizio severo che ha della società e del sistema. Giudizio che tutti in fondo condividiamo: la brutalità della guerra, l’incapacità della classe politica, la lotta al consumismo ecc. L’ ovvietà di queste posizioni è reinterpretata dagli stencil di Banksy che, ad un occhio più esperto, potrebbero sembrare il risultato artistico di analisi pressoché banali di ciò che ci circonda. Messaggi poco profondi, convenzionali, senza sfumature di giudizio e perfettamente in linea con il pensiero di massa, anticonformista nel conformismo.

Lo street artist da museo (quotato milioni di euro)
E se fosse proprio questo il fine ultimo dell’artista? Le quasi cento opere in mostra al Chiostro del Bramante spaziano da temi politici, culturali, sociali fino al mondo musicale e tutte fanno parte di collezioni private, per lo più stencil stampati su carta, tela, metallo, cemento e altri materiali. Sarebbe infatti impossibile oltre che ingiusto sradicare i lavori dai muri delle città in cui Banksy ha operato solo per renderli fruibili in mostra. La street art è l’arte urbana per definizione e in quanto tale ha un grande ruolo sociale, appartiene a tutti nel momento in cui l’artista decide di imprimerla sui muri (ne abbiamo parlato in occasione di #iomanifesto). Una delle prerogative dello street artist è infatti quella di assicurarsi che le proprie creazioni rimangano “di strada”, senza vendersi ad esposizioni private o mostre in museo. I lavori di Banksy vengono invece allestiti (davvero senza la sua autorizzazione?) in diversi luoghi, accanto ai grandi nomi della storia dell’arte moderna, dove probabilmente – per contrasto – acquistano ancora più forza espressiva. Ecco allora che il pubblico ne gode non più in strada ma in galleria, dove può essere imboccato a capirne la poetica leggendo le spiegazioni in didascalia, senza sforzarsi di interpretarne il significato – seppur a prova di principiante – e smarrendo così tutto il senso della street art.