Michela Marzano – Volevo essere una farfalla. Come l’anoressia mi ha insegnato a vivere

Per poter parlare di una malattia, di un disturbo, di una problematica diffusa in tutto il mondo, non è per forza necessario averla sperimentata. Sicuramente però può aiutare un punto di vista di una persona che ha sperimentato sulla propria pelle qualcosa di molto doloroso come l’anoressia: Michela Marzano racconta la sua esperienza in un libro autobiografico dal titolo “Volevo essere una farfalla”.
Volevo essere una farfalla
Fin da principio l’autrice si auto-dichiara, rivelando al lettore che questo non sarà un racconto cronologico, pulito e lineare di come e quando lei abbia avuto a che fare con un disturbo alimentare così pesante e difficile da gestire.
I racconti e le esperienze di vita ci sono, ma si accavallano, sono confusionarie, ma soprattutto sono vere e sono reali.
Michela Marzano è filosofa e scrittrice, ma prima di arrivare ad un equilibrio nella sua vita ha dovuto imparare a sentire solo sé stessa. Fin da bambina, tutte le sue giornate sono state scandite da un senso del “dover fare qualcosa” che le veniva chiesto (o forse meglio dire imposto) dagli altri, caricandole sulle spalle un peso sempre più grande, sempre più opprimente.
Fino a quando quel peso ingestibile non era più tanto quello che le veniva addossato dai suoi genitori e dalle persone che la circondavano, bensì era il suo peso corporeo che era diventato insostenibile e quindi l’obbiettivo diventa farlo scendere, sempre di più e ancora, fino ad ammalarsi.
Perché una donna può diventare così leggera da trasformarsi in una farfalla, libera di volare via?
Il senso del dovere e il conseguente senso di colpa
Rendere fiere le persone è fuori da ogni dubbio un tentativo nobile e molto, molto alto. Praticamente irraggiungibile, ma questo perché le persone in generale si aspettano sempre qualcosa da te, qualche parola, qualche gesto, qualche risposta in un determinato momento (e che non sia né prima, né dopo).
Quando tutto questo non arriva tu senti di aver deluso questi soggetti e forse ci puoi anche passare sopra e andare oltre: ma quando si tratta dei propri genitori, allora lì la faccenda si complica e sta alla persona capire in che misura ha deluso la propria mamma o il proprio papà.
Nel caso dell’autrice si tratta del papà, che ha sempre cercato di spingere la propria figlia a fare meglio, a fare di più, a cercare di ottimizzare i suoi risultati scolastici e non solo.
Facendo crescere in lei una costante ricerca di un miglioramento (per se stessa? Per gli altri?) che sembra non bastare mai, che la riempie di orgoglio quando ha successo, ma che allo stesso tempo la fa oscillare verso un baratro sempre più profondo nel momento in cui fallisce.
Perché quel fallimento le ricade addosso anche quando non dipende da lei, facendola sentire sbagliata e facendole pensare “Cattiva. Sono cattiva!”; lo sguardo rivolto verso i suoi stessi piedi, la vergogna che la mangia da dentro e che ha come risvolto il non sapersi più riconoscere.
Nessun essere vivente è in grado di avere una visione concreta e reale di sé, soprattutto quando si parla di fisicità: quando si accumulano altri problemi, come un rapporto che finisce o un risultato che non si riesce a raggiungere, si rischia di cercare degli specchi nelle altre persone e questo diventa “sbagliato” perché si rischia di passare per una persona che è alla ricerca di attenzioni, che vuole essere guardata.
Michela Marzano fornisce un dipinto di uno dei disturbi alimentari di cui ad oggi si parla ancora troppo poco, che non si conosce forse nemmeno così bene perché per sua stessa natura ha molte sfaccettature, che vanno a calarsi nella dimensione personale del soggetto che ci finisce dentro, spesso senza nemmeno rendersene conto.
Leggere il racconto della sua malattia e guarigione permette di avere un punto di vista intimo, completo e molto toccante non soltanto sull’anoressia, ma anche e soprattutto sulle cause che possono innescare questa malattia.