La street art è di tutti e non ha paura del Coronavirus
Affissioni non autorizzate di dipinti astratti, di personaggi livornesi e non solo sono comparse nella notte del 21 maggio scorso in città. Riproduzioni artistiche di Amedeo Modigliani, Piero Ciampi, donne, uomini e bambini con maschere antigas e altri soggetti originalissimi: si tratta della campagna #iomanifesto dall’autore sconosciuto, che ha invaso la provincia toscana. Nella parte bassa delle locandine però, salta agli occhi una postilla: «Il coronavirus ha portato alla sospensione delle attività culturali e a causa di questo arresto sono rimasti vuoti gli spazi dedicati alle pubbliche affissioni. In attesa che nuovi manifesti siano attaccati perché non riempire questi spazi di nuovi contenuti? Il coronavirus impedisce la ripresa degli eventi estivi ma altri messaggi possono essere lasciati a chi oggi è finalmente tornato a riappropriarsi di questa piazza». La manifestazione incontra per metà anche il favore dell’assessore alla cultura della città, Simone Lenzi, il quale ha da un lato condannato il gesto – in quanto irregolare – ma dall’altro ha poi mostrato massimo apprezzamento per l’improvvisa mostra a cielo aperto, gratuita per tutti i livornesi.
Quanto durano i murales?
Ma per quanto tempo gli abitanti potranno godere di questo blitz artistico? Come spesso accade per moltissimi murales, la street art ha infatti vita breve. Ricordiamo tutti la rappresentazione di Papa Francesco come il protagonista di Kill Bill, realizzato dallo street artist Harrygreb in Vicolo della Campanella a Roma, durato a stento tre ore; o ancora l’abbraccio tra Giulio Regeni e lo studente egiziano Patrick George Zaky arrestato al Cairo lo scorso febbraio con la vignetta “stavolta andrà tutto bene”, impresso dall’artista Laika su un muro di via Salaria. In entrambi i casi però, i lavori sono entrati nelle case di tutti prima di essere cancellati, attirando l’attenzione sulle vicende e producendo quindi l’effetto opposto sperato dalla censura. Uscendo dai salotti borghesi e riversandosi sui marciapiedi, l’arte è diventata un fenomeno collettivo e generazionale che oggi viene documentato e messo online. Ecco allora che al pubblico di quartiere si aggiunge quello dei social e in un attimo le opere diventano virali e immortali.
Il ruolo sociale della street art
Sarà proprio il pubblico di quartiere a trarre dai murales il primo e immediato beneficio: i cittadini, più grandi fruitori della street art, l’arte di tutti per antonomasia. Le opere dei muri appartengono infatti agli artisti ma ancora di più a chi le guarda, diventano parte dello spazio urbano quotidiano e hanno l’obiettivo preciso di denunciare, scuotere le coscienze e far riflettere la collettività. L’arte di strada nasce come mezzo di comunicazione di massa, sociale, inclusivo e senza vincoli. Molti giovani hanno intrapreso questa forma espressiva per manifestare un disagio che li opprimeva, per contestare il sistema politico o semplicemente per poter fare arte autonomamente, senza alcun legame con musei o gallerie. Non è un caso che, soprattutto nelle grandi città come Roma, molti degli spazi a fare da sfondo alle opere di street art siano centri sociali occupati, circoli di cultura indipendenti, biblioteche metropolitane, palestre popolari e tanti altri posti di aggregazione aperti a ogni tipo di contaminazione culturale e di idee, dove non è previsto alcun tipo di censura, a favore di una libera e consapevole informazione. Dal Forte Prenestino all’Ex Snia, dal Volturno Occupato al Cinema America, tutti questi luoghi – sovente abbandonati all’incuria e al degrado – nascono per mano di persone che decidono di costruire dal basso nuovi modelli di collettività: studenti, lavoratori precari, migranti e altre minoranze che spesso subiscono i cambiamenti della società passivamente, senza poter intervenire o decidere, i cosiddetti ultimi. Gli ultimi però non diventano quasi mai primi, ma rimangono in fondo, a scrivere sui muri dei loro sogni.