Una vita presa in prestito: Il diario perduto di Frida Kahlo
Il diario perduto di Frida Kahlo, edito da BUR nel 2018, è il romanzo d’esordio di Alexandra Scheiman, scrittrice e psicologa messicana, autrice di racconti e di un libro illustrato per bambini.
Si tratta di una biografia romanzata della pittrice in cui viene esplorata da vicino, come sotto una lente di ingrandimento, la dimensione onirica ed introspettiva che fa comprendere come l’intera opera pittorica di Frida non sia altro che una composita rappresentazione del suo vissuto.
“Spero che il viaggio sia gioioso, e stavolta spero di non tornare”: queste le parole che l’artista scrisse sul suo diario poco prima di esalare l’ultimo respiro, ma per poterle comprendere appieno occorre ripercorrere la vita di Frida che la scrittrice propone attraverso un lungo flashback che ha inizio con la sua infanzia.
Frida nasce nel 1907 a Coyoacàn (una delegazione di Città del Messico), figlia di genitori che non si amano, affetta da poliomielite dall’età di sei anni, viene considerata brutta ed è soprannominata “gamba di legno” per l’andatura claudicante.
Nel romanzo la protagonista stipula un patto con la morte (che lei chiamerà sempre Madrina) in seguito ad un tragico incidente in autobus, dal quale si salva per miracolo. Il patto prevede che ogni anno debba essere allestito, per il Giorno dei Morti, un altare ricco di offerte per la Madrina, che puntualmente Frida decora con fiori freschi e con pietanze tipiche della gastronomia messicana. Il fine è rimandare di un anno l’appuntamento con la morte e Frida ci riesce anche se è convinta di vivere una vita che non le spetta, una vita presa in prestito.
Nonostante le gravissime condizioni di salute che la inchiodano a letto, Frida ricomincia a vivere, e lo fa attraverso la pittura. Nella sua carriera non manca l’impegno politico, difatti nel 1928 diventa un’attivista del Partito Comunista sostenendo la lotta di classe armata del popolo messicano e partecipa a numerose manifestazioni durante le quali si innamora del celebre muralista Diego Rivera, di ventun’anni più grande di lei.
Tra i due fu un colpo di fulmine che si tradusse in sentimento folle, ma che mutò ben presto in un rapporto tormentato dai reciproci tradimenti e dalle continue gelosie. I due si sposarono, divorziarono e si risposarono, perché anche se Diego era un donnaiolo, Frida amava solo lui e nelle sue lettere e nel suo diario si rintracciano versi di un’intensità disarmante che danno idea della profondità e della potenza del sentimento che li univa.
Frida era la musa di Diego e i due formavano una coppia artistica oltre che sentimentale, legati dalla passione per l’arte, per il comunismo e per la cultura messicana.
La pittrice si spense lentamente nel 1954 a Casa Azul, oggi sede del Museo Frida Kahlo. Non visse neanche mezzo secolo, ma la sua fu una vita piena, anche se segnata dalla sofferenza. Lei stessa affermò “Ho avuto due gravi incidenti nella mia vita. Il primo fu quando un tram mi mise al tappeto, l’altro fu Diego”.
Alexandra Scheiman fa rivivere con le sue parole il personaggio di Frida che incarna il senso stesso della lotta, simbolo universale del riscatto femminile. A ciò si mescola la sua arte intima e introspettiva, in cui si fondono durezza e fragilità.
Il romanzo risulta scorrevole, la lettura è incalzante e viene voglia di leggerlo tutto d’un fiato. Una particolarità è data dalle ricette culinarie poste alla fine di ogni capitolo che dovevano essere presenti nel taccuino dell’artista messicana, che veniva consultato per la preparazione delle pietanze da collocare sull’altare nel Giorno dei Morti.