Un’intima atmosfera che diviene «pubblica». Vittoriana Benini in esposizione al Complesso del Dioscuri al Quirinale.
Nei magnifici spazi del Complesso dei Dioscuri al Quirinale, il «battesimo» romano dell’artista mordanese Vittoriana Benini, nota per le sue bambole e per le sue tele che sembrano «raccontare storie». La mostra offre l’occasione di affacciarsi, quasi come in un salto spazio-temporale, su una porzione di mondo — quello della pittrice — fatta di ricchezza e semplicità, storicità e freschezza. Le opere della Benini sono espressione di una armonica musicalità, nel susseguirsi di sguardi diretti o pensosi, di particolari artistici ma sempre reali e nella costante tenuta emozionale, così presente nell’artista da diventare, per chi osserva, modalità per partecipare alla storia che ogni tela evoca. La mostra è stata curata da Nicolina Bianchi, Direttrice di Segni d’Arte e critica d’arte, in collaborazione con Maurizio Fallace, Direttore Generale MIBAC per le Biblioteche, Istituti Culturali e Diritto d’Autore. È stato possibile porgere loro qualche domanda.
«Intima atmosfera del reale»: da dove nasce il titolo della mostra?
Per scrivere il testo di Vittoriana Benini io sono andata su a trovarla, per vedere lo studio, che è la matrice del suo lavoro, dove sposta le bambole, le marionette. Io mi sono ritrovata — a parte nell’oasi della pianura romagnola di questa sua casa antica — in questo studio che aveva di tutto, dalle conchiglie raccolte in spiaggia alle piccole tolette, gli specchi ovali, il cavallino di legno antico… È stato un tingersi di simboli che ritroviamo in tutte le opere su tela. Ed era un’atmosfera così intima, che raccoglie quella che è un po’ la sua interiorità. Ci sono sempre dei particolari che richiamano all’intimità, lei se la trasporta in ogni opera. Ci riporta nel suo mondo: tornano sempre gli strumenti musicali — il violoncello, la chitarra, l’arpa — oppure il cavallo a dondolo. Questi strumenti rappresentano una passione, un ricordo che si ripropone, si riproduce. Da lì nasce il titolo della mostra. Intreccia questo discorso delle bambole — ricordo della sua infanzia, quando ne aveva una e se la litigava con le sorelle — ad un mondo che per lei è sogno, fantasia. Bambole come oggetto, oppure come rappresentazione di opera d’arte nell’opera d’arte, di quadro nel quadro. È l’oggetto che riproduce il quotidiano; il quotidiano sembra facile da riprodurre, ma è la cosa più difficile del mondo. La bambola di solito è un simbolo inquietante, ma quelle della Benini no. Hanno uno sguardo sbigottito, curioso, attento. Lei interpreta la bambola quasi umanizzandola, facendola convivere con i personaggi. E poi «del reale» perché tratta della realtà: momenti belli, buoni, tristi della sua infanzia, della sua esistenza.
«Il mio mondo – scrive la Benini – è un universo al femminile, che vuol rendere la donna nella sua essenza, nel cuore e nell’anima, nella parte più profonda dei sentimenti.» Chi è «la donna» di questi quadri?
È la donna al femminile; ci sono delle donne che di femminile ne hanno di meno, o di più. Lei ne ha tantissima di femminilità e la vive interiormente, alla grande, infatti nei suoi quadri la donna è protagonista in tutte le sue manifestazioni, insieme alle sue bambole. È una donna a tutto tondo. E anche le bambole non sono mai vestite da maschio, ma sempre bambole al femminile. Quindi è proprio il vivere la donna nel modo assoluto, creativo, libero. Questo è Vittoriana Benini, anche nel pubblico. Lei è questa libertà creativa, culturale e sociale. Si chiude nello studio ed è lei: protagonista della e nella sua intimità.
In occasione della presentazione, Vittoriana Benini ha donato una propria opera a Erminia Manfredi, moglie di Nino Manfredi e testimonial e dell’associazione “Viva la vita”, impegnata attivamente nella lotta contro la SLA. In un momento culturale in cui spesso l’arte sembra coincidere con la sola esperienza «gassosa», di cui l’unico risvolto sono le impressioni, questo gesto risulta particolarmente significativo.
È un intento concreto, sociale, davvero da sottolineare. Poi per una malattia drammatica come la SLA, dare questo segnale di bellezza per una tragedia familiare — e personale – è davvero notevole. Ciò che Vittoriana Benini fa, crea, è per lei un fattore di identità, partecipato, intensamente, fino alla sfera pubblica.
Nella sua nota critica, Vittorio Sgarbi scrive che i soggetti della Benini sono «soggetti prevalentemente non drammatici in cui si vede però la malinconia, l’insoddisfazione, il dolore in una dimensione che è tutta familiare»; questa malinconia emerge chiaramente in alcune tele, ma si combina sempre ad una percettibile serenità.
I soggetti sono tutti personaggi veri, reali, presi in momenti di ispirazione diversa. È vero: a volte c’è un senso di nostalgia, ad esempio nello sguardo del bambino con accanto il cavallino a dondolo, o nella scelta di alcuni colori; è come una certa velatura di tristezza. Ma le sue rappresentazioni sono la descrizione di un vissuto, di emozioni e passioni; infatti in altre tele sono protagonisti gli artisti di strada. Chi meglio di loro esprime la libertà? Sono quelli che si muovono sempre, che interpretano la vita nel modo più libero, più intenso. Altre volte, invece nei suoi quadri c’è un’atmosfera senza tempo, in cui qualcosa fa da trait d’union tra presente e infinito, come la scelta dei colori in Omaggio a Fellini, un quadro in cui c’è un’aria di purezza, un senso di sospensione.
Un grande filosofo del ‘900, Romano Guardini, scrive: «Ogni autentica opera d’arte, anche la più piccola, è come un mondo: uno spazio ben disposto e ricolmo di significati in cui si può entrare». Come si entra nel mondo della Benini, nella sua semplicità?
La frase di Guardini sembra fotografare questa mostra, sembra fotografare l’artista nel suo intimo. In lei è tutto un intrigo di emozioni. Come si entra nel suo mondo? Direi in punta di piedi, con tanto rispetto per la persona e partecipazione totale alle sue emozioni. Perché questa è una mostra che desta emozioni. Il mondo della Benini è semplice ma intenso; la sua semplicità è una semplicità vissuta, un valore aggiunto. Conoscendo lei si capisce molto meglio la sua arte. Sembra una gentil donna che viene da un suo quadro, eppure allo stesso tempo molto moderna. È una persona piena di «giovinezza», è una persona speciale. Non un personaggio, ma una persona. Lei non è mai un personaggio.
La mostra sarà esposta fino al 30 maggio 2013.
di Emanuela Tangari
Twitter (@EmanuelaTangari)
24 maggio 2013