Mindhunter
Tentare di analizzare le menti altrui è un’arte sottile, complessa, che richiede notevoli e lunghi anni di studio e di analisi di se stessi: insomma, il cammino è arduo e solo chi ama la professione ed è dotato di quello che viene comunemente definito “pelo sullo stomaco”, può davvero cercare di estrapolare delle conclusioni sensate, analizzando e scavando nell’animo delle persone.
Quando poi ti parla di serial killer, allora ci si deve rimboccare le maniche ed essere fisicamente e mentalmente pronti a sentirsi raccontare i peggiori incubi che prendono forma e che escono dalla bocca di soggetti che per esempio hanno sterminato una famiglia, violentato un numero non ben preciso di donne innocenti per poi ammazzarle. Cose così.
Mindhunter riapproda su Netflix con la sua seconda stagione, dopo una lunga attesa di due anni da quando la prima si era conclusa, lasciando un hype pazzesco al termine dell’ultima puntata: cosa stava davvero succedendo a Holden, preso da quello che sembrava essere a tutti gli effetti un attacco cardiaco, dopo essere andato a trovare il pluriomicida Ed Kemper in ospedale? In che cosa si stava trasformando quel timido ragazzo, che nel corso della prima stagione gli spettatori hanno visto trasformarsi in un soggetto sempre più strano e particolare?
Anche in questa seconda stagione il produttore David Fincher non sbaglia un colpo, portando lo spettatore ad un livello superiore, coinvolgendolo sempre nelle interviste che i due protagonisti fanno all’interno delle carceri, ma aiutandoli anche a capire e a conoscere meglio Bill, Holden e la professoressa Wendy Carr.
In questi nuovi episodi si affrontano tre grosse tematiche, che nello stesso tempo si staccano dal loro lavoro di ricerca per la definizione del serial killer, ma che comunque vanno ad inserirsi inevitabilmente all’interno delle loro giornate: gli attacchi di panico di cui Holden è vittima, il trauma familiare che vive Bill con la moglie e il figlio piccolo, la sessualità di Wendy che viene rivelata ed esposta al pubblico con naturalezza.
Due uomini e una donna, persone comuni che nonostante i loro grossi sforzi nel tentare di capire le menti di omicidi, stupratori e più in generale di uomini violenti, fanno fatica a tentare di comprendere come la loro vita sia travolta dai cambiamenti, ai quali non riescono a stare dietro.
Holden si ritrova a dover rivedere il suo modus operandi, che è incredibilmente schietto nel suo lavoro, cinico, freddo, distaccato, spesso anche arrogante e fin eccessivo nelle domande che rivolge ai soggetti che si ritrova davanti, proprio perché capisce di essere lui per primo vittima di qualcosa che non può controllare.
L’ansia gli serra la gola, lo fa sentire totalmente inerme ed esposto, come se fosse lui il primo a dover essere giudicato e analizzato (anche se ancora non sa da chi, forse da se stesso?) e si ritrova in totale balia di sè, quando è proprio il rapporto con la sua personalità la faccenda più complessa che deve affrontare: nemmeno l’intervista con il famoso Charles Manson lo porta ad alterare nemmeno un sopracciglio, ma quando deve cercare di capire perché durante un attacco di panico non riesce a controllare il proprio corpo, allora lì l’agitazione, la sudorazione, l’incapacità più assoluta di muoversi diventano dominanti.
Wendy Carr, una donna stupenda, affascinante, tutta d’un pezzo, che vive la sua giornata totalmente con la testa sui fogli, che nella prima stagione ha perso la sua compagna proprio a causa del lavoro, che decide di rimettersi in gioco con una donna completamente diversa da lei, più spregiudicata, più giovane, con cui la sua sessualità viene fuori con prepotenza, le barriere sembrano cadere, il suo corpo riprende vita, lasciando da parte un pochino di quella rigidità che la caratterizza. Anche per lei l’analisi di se stessa diventerà sempre più complessa.
Infine Bill, il fiero e stoico membro del reparto scienze comportamentali, che viene catapultato in un nuovo caso che sconvolge la città di Atlanta: improvvisamente teatro di inquietanti omicidi seriali, che contano tra le numerose vittime bambini afroamericani, mentre a casa il figlio adottivo in tenera età sembra essere coinvolto in un incidente (ma che poi, sarà davvero andata così?). Un uomo dalla sottile ironia, dalla simpatia dirompente nei suoi momenti migliori, che deve rivedere completamente le priorità, per capire davvero per che cosa valga la pena lottare nella vita.
Una seconda stagione forse più psicologica ancora, dove indubbiamente i dialoghi tra i protagonisti e i pluriomicidi intervistati in carcere hanno sempre un fascino e una capacità di tenere lo spettatore incollato allo schermo: ma ciò che viene fuori con prepotenza da questo secondo appuntamento con Mindhunter sono i protagonisti, che devono affrontare quella ricerca di se stessi, che risulta difficile sempre, indistintamente dal lavoro che ognuno di noi possa compiere.