Stranger Things alla terza: la crescita verso l’adolescenza, nel Sottosopra
La stagione estiva è spesso portatrice di avvenimenti curiosi e spesso sorprendenti: avventure del tutto inaspettate che si profilano all’orizzonte, nuove conoscenze che possono rivelarsi più o meno determinanti, considerazioni sulla propria vita personale, riflessioni sull’anno che è passato e che sta volgendo al termine.
Quando si è ragazzini, l’estate invece tendenzialmente rappresenta il più puro e onesto divertimento: la scuola è terminata, le sveglie mattutine all’alba sono stata messe in pausa fino a settembre, la temperatura in casa diventa insostenibile e dunque l’unica soluzione possibile è quella di uscire con gli amici, andare in mezzo al verde o in piscina e godersi un gelato sotto il sole cocente.
Anche ad Hawkins è arrivata la calura estiva e insieme a lei su Netflix è approdata il 4 luglio la terza stagione di Stranger Things e per la terza volta i produttori hanno saputo dimostrare al loro pubblico che la qualità la si può mantenere viva anche nel momento in cui si è raggiunto il massimo del successo.
Ritroviamo tutti i personaggi e i protagonisti che con un lacrima nell’occhio avevamo salutato alla fine della seconda stagione: Dustin, Steve, Max, Mike e Eleven (lato bambini, ma che tanto piccoli non sono più).
Incontriamo nuovamente anche Nancy e Jonathan, che si rivelano essere una coppia infinitamente tenera e salda, fin quando i primi litigi mettono in difficoltà la visione che entrambi hanno del loro rapporto. Perché crescere vuol dire anche sapersi mettere in gioco, rivedendo le proprie idee e mettendo da parte i piccoli egoismi, ammettendo di avere torto anche nel momento in cui non ne si è così sicuri.
e dall’altro troviamo di nuovo Joyce e Hopper, con l’aggiunta di altri personaggi particolarmente ben riusciti come Robin (collega in gelateria di Steve) e Billy (che in realtà ritorna, con una veste diciamo particolare).
Il Sottosopra sembra essere ormai un ricordo lontano, ma come spesso accade la finta calma e tranquillità sta per essere spazzata via dal ritorno di quegli essere amorfi che solamente El è potenzialmente in grado di uccidere. La serie, che continua a riportare in voga il fascino degli anni ’80 con le sue ambientazioni, gli abiti, la tecnologia un po’ barocca di quegli anni e la splendida colonna sonora, affronta con delicatezza un altro tema.
L’adolescenza, il cambiamento del proprio corpo, il rifugiarsi nei primi pensieri verso un amico o un’amica che si è sempre considerato solo tale e che improvvisamente diventa qualcosa di più, per la prima volta: lo stravolgimento che può causare una cosa del genere in un quartetto di amici (come succede nel momento in cui Eleven e Mike cominciano a frequentarsi come novelli fidanzatini), soprattutto nei confronti degli elementi ancora molto legati al concetto del gruppo di amici che devono fare tutto insieme.
Le affrontare tutti questi cambiamenti insieme già non è facile, ma se poi ci si aggiunge il Mind Flayer che decide di tornare in una veste raccapricciante, amorfa e capace di penetrare l’anima e il cervello del suo soggetto ospitante, allora i problemi crescono esponenzialmente.
Tutto si riversa non soltanto sulle spalle di Eleven, che si fa carico della salvaguardia dei suoi amici (nonostante sia ancora in una fase di apprendimento della natura umana), ma anche su quelle di Hopper e di Joyce (gli adorabili adulti che giocano a fare i ragazzini, alternando momenti di gag esilaranti a momenti di pura saggezza), come sulle spalle di Robin/Steve/Erica (forse il personaggio più brillante di questa stagione).
Nuovamente i fratelli Duffer dimostrano di essere in grado di sviluppare una story line ai limiti della perfezione, senza mai cadere nei tranelli della ripetizione, della banalità e senza essere mai stucchevoli.
Il finale lascia incantati, come ci si aspetta, con nelle orecchie la frase che fa davvero da motivo portante di questa serie TV: “Friends don’t lie”.