Boy erased. Vite cancellate, di Garrard Conley

Esistono regole nuove ogni giorno, che ci mettono in un angolo costantemente e spesso ci impediscono di esprimere noi stessi, da ogni inclinazione. Poi ci sono quelle che invece servono a insegnare a noi e a tutte le generazioni future cosa voglia dire vivere insieme agli altri, principalmente tramite una regola sola: il rispetto.
Il rispetto delle vite altrui, delle scelte degli altri, del lavoro che svolgono le altre persone, qualsiasi esso sia. Dunque, in questa rosa così ampia è necessario oltre che assolutamente normale essere in grado di rispettare l’orientamento sessuale di ciascuno individuo. Non se ne può discutere, non si può puntare il dito, non si può cercare di “correggerlo”: nessuna correzione esiste al mondo, anche se purtroppo spesso si è tentato di “rimettere sulla via dell’eterosessualità” anche coloro che invece avevano altri orientamenti.
Questo racconta Garrard Conley nel suo romanzo – autobiografia “Boy Erased. Vite cancellate”, da cui è stato tratto recentemente uno splendido film con Nicole Kidman, Russell Crowe e Lucas Hedges: la sua storia infatti è quella di uno dei tanti sopravvissuti a quella che viene chiamata terapia riparativa, ossia proprio quel metodo inteso a correggere l’orientamento sessuale di un soggetto dall’omosessualità all’eterosessualità.
L’esperienza dello scrittore è strettamente legata ad una delle strutture di Love in Action (LIA), che ha dovuto frequentare per un certo periodo della sua vita a partire dal 2004, anche se in realtà questa organizzazione mosse i suoi primi passi già verso la fine degli anni ‘70: in seguito alla decisione dell’APA (American Psychological Association) di depatologizzare l’omosessualità e quindi di non considerarla più una malattia mentale, Love in Action (di stampo cristiano-fondamentalista) rigettò tale decisione e aprì un centro a San Rafael in California, con lo scopo di curare i membri LGBT dalle loro “dipendenze sessuali”.
Garrard a 19 anni confessa ai genitori di essere gay: il padre (pastore battista e fervido membro della vita religiosa di una piccola città dell’Arkansas) e la madre decidono di gestire questa “deviazione” del loro unico figlio, portandolo per 12 giorni in questo centro, dove lui ha l’obbligo di restare dalla mattina fino alle 5 del pomeriggio, con il divieto assoluto di raccontare al di fuori della struttura quali siano le diverse terapie.
Tale divieto gli risulta subito più chiaro nel momento stesso in cui mette piede nell’edificio: umiliazione, correzione di atteggiamenti considerati devianti, frasi legate alla religione ripetute con toni altisonanti per far capire ai ragazzi che stanno attraversando solo una fase confusa della loro vita, ma che agendo tempestivamente possono avvicinarsi nuovamente a Dio. Come se il fatto di avere desiderio nei confronti di una persona dello stesso sesso voglia automaticamente allontanarti da una fede: questa equazione non funziona più.
Lo stereotipo maschile che deve essere colui che porta i pantaloni in casa e che deve avere posa triangolare quando sta in piedi, perché “i triangoli sono le forme più forti”, non è mai esistito e fuori da ogni dubbio esiste oggi: tante vale per l’uomo quanto la donna.
La correzione del proprio orientamento sessuale o l’atteggiamento da adottare seconda la LIA “Fingi finché non ottieni” è un naturale contro senso che deve essere abbattuato: non esiste una correzione, non esiste una regola su chi si sceglie di amare o verso chi si prova attrazione fisica. Non c’è alcuna differenza: questo messaggio va urlato al mondo del 2019, che in questa giornata del 17 maggio festeggia la giornata mondiale contro l’omofobia (data scelta perché proprio nel 17 maggio 1990 l’Oms decise di depennare l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali).
Ad oggi però non valgono organizzazioni mondiali della sanità e nemmeno tutti i riconoscimenti (anche se ancora molti ne mancano) che le comunità LGBTQ+ di (quasi) tutto il mondo hanno raggiunto: perché l’esperienza vissuta da Garrard Conley non è così lontana come tempi e non deve rimanere nel silenzio, perché non deve ripetersi più.
Un romanzo che tocca una tematica così forte e delicata, ma allo stesso tempo così urgente e importante da non poterla nascondere più sotto nessun tappeto.
Rebecca Cauda