Ted Bundy: conversazione con un serial killer

Gli esseri umani sono dotati di una capacità che si sviluppa fin dai prima anni di vita: la parola, la chiacchiera, l’arte della conversazione. Per alcuni diventa davvero un’abilità come per gli avvocati, per altri rimane il modo migliore per poter iniziare una qualsiasi relazione sociale con un altro essere umano.
La bellezza delle parole è cosa nota, perché riescono da sole a costruire prima dei pensieri in chi formula la frase, successivamente un discorso che se fatto in una certa maniera, è capace di rimanere impresso nella mente di chi ascolta e di essere archiviato nel cassetto dei ricordi, che ognuno di noi ha nel proprio cervello.
Indubbiamente le conversazioni che i giornalisti Stephen Michaud e Hugh Aynesworth hanno avuto e registrato tra il 1980 e il 1981 con il serial killer Ted Bundy, rimarranno impresse per sempre nelle loro memorie, ma anche per noi spettatori che decidiamo di vedere la nuova docu – serie di Netflix “Conversazioni con un killer: il caso Bundy”, quelle parole vere e oneste non diventeranno nebbia fumosa tanto in fretta.
Il 24 gennaio 1989 alla Florida State Prison il tristemente famoso killer Ted Bundy viene giustiziato sulla sedia elettrica ed esattamente a 20 anni dalla sua morte il colosso Netflix lancia sulla sua piattaforma di streaming quattro puntate in cui lo spettatore può ascoltare quali siano stati i pensieri di uomo che ancora oggi resta un abisso di misteri.
Folle, violento, pazzo: questi sono gli aggettivi che possono descrivere ad un primo livello di analisi un personaggio così controverso. Anche volendo studiare la sua personalità da un altro punto di vista, non si può che rimanere profondamente turbati non soltanto dai gesti compiuti da Ted Bundy, ma anche dal suo modo distaccato con cui lui per primo si è sempre dichiarato innocente e dalla sua strafottenza verso la legge che lo stava accusando.
Un uomo che in soli quattro anni ha ucciso e violentato (anche post mortem) ben 30 donne, alcune delle quali sono anche state decapitate: un soggetto insomma da cui tenersi a debita distanza, proprio per sua violenza improvvisa, capace di scatenarsi nel momento più inaspettato, anche se sempre pianificato secondo dei calcoli precisi.
Un cacciatore di donne, in un certo senso, che è riuscito spesso a far cadere nella sua rete delle ragazze innocenti, che hanno avuto solamente la sfortuna di passargli vicino nel momento più sbagliato, trovando in questo personaggio così controverso la loro morte. Nel 2017 il giornalista Michaud ha portato le sue registrazioni a Berlinger, uno dei massimi esperti di true crime. Così dopo aver sbobinato ore e ore di conversazioni con Bundy, Berlinger è giunto ad una conclusione: il killer c’è, c’è sempre stato nella sua psiche complessa, ma si alternava ad un altro personaggio affabile con un grande fascino e senso dell’umorismo, che però è stato in grado di pianificare 30 omicidi con freddezza maniacale.
Non un mostro a due dimensioni, ma un pazzo che ha diviso la sua vita in compartimenti ben divisi gli uni dagli altri, ed è proprio questo il motivo per cui faceva (fa?) così paura: un uomo sposato e padre adottivo, dolce e pieno di attenzioni per le due donne della sua vita, serial killer in altri momenti.
Quello che ha sempre interessato l’opinione pubblica in merito a questo personaggio è il fatto che si distacca esponenzialmente dalla definizione classica di omicida: lontano dall’uomo che incute timore, dai tratti fisici disturbanti, al contrario Ted Bundy è un uomo istruito, ben vestito, affascinante sotto certi punti di vista, con molti amici e una carriera come avvocato davanti a sé. Perché dunque ha iniziato a uccidere? Non ci sono ragioni precise e sicure, nessuno è mai riuscito a capire davvero quali siano i motivi che spingono una persona “normale” (e tale definizione potrebbe voler dire una marea di cose) a compiere degli atti così terribili.
Per tentare di capire dei gesti come questi e soprattutto per scoprire che cosa spinga una persona ad uccidere in maniera così brutale delle donne, si guarda al passato di Ted Bundy: lui per primo non conobbe mai il padre e questo durante la sua crescita gli provocò grandi scompensi oltre a far nascere in lui un certo risentimento nei confronti della madre, ritenuta in parte colpevole di questa mancanza. La sua storia familiare dunque manca di una figura paterna ed è segnata da disponibilità economiche modeste: dunque la sua determinazione nel voler proseguire gli studi di giurisprudenza gli è spesso sembrata un qualcosa di irraggiungibile e questo a sua volta ha scatenato un senso di inadeguatezza e di rabbia, repressa e sopita fino a quando è esplosa nella maniera peggiore.
Rebecca Cauda