Il festival del classico, accompagnato da un romanzo.
Ci sono determinate cose che tendono a morire. Si aggrappano con le unghie e con i denti, ma piano piano cominciano a scivolare nell’oblio e non c’è verso di salvarle e riportarle a galla.
Così succede con le mode passeggere, soprattutto per quelle che ricadono sotto il gigante della Moda: pantaloni a zampa che tentano di ritornare, ma che stonano e fanno a pugni con gli anni 2000 che stiamo vivendo, giacche / soprabito che gonfiano le proprie spalline come se fossero sotto l’effetto del cortisone, che risultano soltanto una falsa copia dell’armadio di Madonna, quando cantava “Like a virgin”.
Al contrario, ci sono poi i pilastri, quelle basi che nonostante si siano sviluppate nei tempi che furono, se non ci fossero mai state niente di tutto quello che oggi ci circonda, come cultura, come moda, come società, come economia, sarebbe mai esistito. Quindi rimanendo su queste tematiche, risulta decisamente più sensato il ritorno di alcuni di questi pilastri, anche solo in veste celebrativa, per ricordare al mondo intero quanto siano stati decisivi e fondamentali.
Prendiamo ad esempio le lettere classiche: il latino e il greco. Le tanto odiate versioni di latino, che al liceo hanno fatto tribolare enormemente e hanno fatto fioccare sonori 2 o 3 sui compiti, firmati dai professori; ugualmente, le incomprensibili versioni di greco, oltre che lo studio dei filosofi e pensatori latini e greci, che spesso ci chiedevamo dove volessero arrivare con i loro incatenati pensieri, e soprattutto: ma a cosa serviva davvero studiare e tentare di comprendere delle lingue ormai morte? Eppure.. eppure con il passare del tempo e con la crescita, si è capito che poi in fondo questi piccoli uomini che si ponevano le prime domande (alle quali hanno dato le risposte senza le quali noi oggi non sapremmo nemmeno allacciarci le scarpe) sono stati davvero fondamentali per lo sviluppo della società oggi come la conosciamo.
Dunque perché non celebrare questi pensatori con una serie di conferenze, che saranno il fulcro centrale del Festival del Classico 2018, che sbarca a Torino dal 18 al 25 ottobre? Nessun motivo apparente per non partecipare ad una settimana davvero ricca di appuntamenti, che non soltanto si svolgeranno in luoghi suggestivi del capoluogo piemontese (per citarne giusto qualcuno: il Circolo dei Lettori di via Bogino 9, il Teatro Carignano, la Cavallerizza Reale di via Verdi 9 e il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di via Accademia delle Scienze 5), ma che vedranno intervenire alcuni dei più promettenti (e assodati) interlocutori, scrittori, pensatori dei tempi nostri.
Lezioni, dialoghi, letture, presentazioni di libri, spettacoli teatrali: il tutto accompagnato dalla mediazione di alcuni personaggi come Luciano Canfora, Gian Luigi Beccaria, Gustavo Zagrebelsky, Alessandro Baricco e Roberto Vecchioni.
Se poi si vuol spingere verso una “rivisitazione” più moderna di un tema così classico (fa quasi male leggere tale accostamento, ma tant’è…), allora può intervenire l’ultimo romanzo di Donna Tartt “Dio di illusioni”, il quale presenta come protagonisti proprio un gruppo sei ragazzi quasi maggiorenni. che frequentano un piccolo college raffinato nel Vermont. La caratteristica di questa scuola ruota intorno al personaggio del professore Julian, il quale insegna greco antico, ha parametri assai rigidi per permettere agli studenti di frequentare il suo corso, ma che proprio per tale motivo diventa ancora più interessante per Richard, neo arrivato al college, che vuole risollevarsi dalla sua condizione di studente medio e vuole poter esprimere il potenziale che ha con le lingue classiche, in modo particolare proprio con il greco. Nella riscoperta di una lingua antica possono però anche annidarsi potenziali tentazioni, eccessi e illusioni, che se presi troppo alla lettera e accompagnati da dosi massicce di alcool, droghe e promiscuità nei comportamenti, possono riservare pessime sorprese e risvolti dai contorni molto scuri. Perché la cultura fa da traino per le giovani menti, se applicata con un filtro che stacchi gli studi dalla realtà quotidiana di un college, che è anche fatta di feste, primi appuntamenti, primi stordimenti da cocktail micidiali; ma se il Dio delle illusioni (che ancora non si capisce se sia il greco in se stesso o lo stesso Julian) prende il sopravvento su dei ragazzi intelligenti, ma assai viziati, allora non c’è più alcun limite, nessun freno che li possa riportare sulla retta via.
Un romanzo complesso, spesso difficile da comprendere, soprattutto perché non si ha la percezione immediata di quale sia il fine ultimo della scrittrice, di quale sia davvero l’obiettivo e il significato delle sue parole; ma che poi alla fine si rivela, si palesa e ci fa riscoprire una lingua come il greco, che ad oggi risulta tutto fuorché morta.
Rebecca Cauda