Gente de borgata. Le cento anime di Franco Califano
Rubriche
2 Maggio 2023

Gente de borgata. Le cento anime di Franco Califano

di Gianluca Vignola

Condividi:

In molti lo ricordano come il Prévert di Trastevere, in tanti come un cantante fuori dagli schemi, tutto genio, romanità e sregolatezza. A 10 anni dalla morte, Franco Califano continua a far parlare di sé. Nonostante tutto.
Nonostante la damnatio memoriae che troppo spesso il sistema culturale del nostro Paese ha riservato ad artisti spigolosi come lui.

La casa editrice Gremese pubblica per l’occasione un libro che ripercorre il suo percorso artistico con l’obiettivo di mettere in secondo piano le chiacchiere sul personaggio e far parlare soltanto la musica, la voce, i testi.

Autori del libro sono Gilberto Monti e Vito Vita, i quali riescono ad alternare momenti prettamente storiografici a interviste realizzate con figure vicine a Califano, come Memo Remigi e lo storico manager Gianni Marsili.  

Prevert di Trastevere, si diceva. Ma forse Califano è più il Johnny Cash dei rioni di Roma. Per le esperienze borderline, certo, ma anche e soprattutto per la capacità di rinnovare un genere rendendolo contemporaneo. Per Cash era il folk americano, per Califano la canzone romanesca.

Pezzi come Semo gente de borgata – l’anno è il 1972 – raccontano il sottoproletariato della Capitale con la stessa, identica commozione dell’Accattone di Pasolini.
E allora, oltre che a Johnny Cash, non è azzardato paragonare Califano all’autore di Ragazzi di vita. Basti leggere il testo di Pierpaolo, canzone pubblicata nel disco Non escludo il ritorno, in cui l’autobiografia del cantautore e la storia del poeta sembrano sovrapporsi: 

«Ho sognato qua la mia libertà

era una farfalla sopra la mia bocca era l’amore

Ho sognato qua la mia umanità

erano felici anche gli infelici

che nessuno sa»   

Del resto, è proprio con Non escludo il ritorno che Califano firma il suo testamento. 

In quell’LP, singoli come Un tempo piccolo si alternano a pezzi recitati scritti nel corso degli anni.
Siamo dalle parti del De André che riprende l’Antologia di Spoon River. Ma a differenza dei mestieranti celebrati dagli epitaffi di Edgar Lee Masters, i personaggi del presepio romanesco di Califano hanno una verve ancor più popolana, ancor più immersa nel brodo acre della vita.   

Perché Califano rimane del popolo. E lì dove non è arrivata la cultura “alta” a celebrare l’autore di testi come La mia libertà e Minuetto, ci ha pensato la cultura “altra”.
Quella di Federico Zampaglione dei Tiromancino, certo. Ma anche e soprattutto quella del rap e della trap nate all’ombra del Cupolone. 

Piotta, ad esempio, per realizzare la sigla di Suburra ha riscritto un’edizione aggiornata di Roma nuda, mantenendo intatto lo spirito true crime del testo e aggiornandolo ai tempi di Mafia Capitale.

Ma ancora, Franco126, Ketama126 e Don Joe che nel 2019 recuperano una strofa inedita del cantautore di Ardea per realizzare la versione trap di Cos’è l’amore.

Insomma, Califano rimane un vate. Come Prévert, Pasolini e Johnny Cash. Tutto il resto, banalmente, è noia.