Quando c’era Pietro Nenni: i rapporti diplomatici tra Cina e Italia

Occhiali spessi, l’accento ravennate che vibra nelle sue parole, Pietro Nenni, partigiano e leader del PSI, ha 64 anni quando i suoi passi riecheggiano nelle stanze del potere di Pechino. È il 1955. La Democrazia cristiana orfana di Alcide De Gasperi vive una fase di avvicinamento alla stagione del centrosinistra. La Cortina di Ferro è da tempo calata sull’Europa e sul Mondo.
La guerra di Corea ha segnato drammaticamente la definizione delle sfere d’influenza. La parola d’ordine che arriva da Washington sotto la Presidenza Eisenhower è quella del roll-back, respingere ovunque la possibile minaccia comunista dell’Urss. A Mosca la morte di Stalin segna una nuova fase che si definirà con la denuncia delle purghe staliniane al XX Congresso del PCS per voce del nuovo primo Segretario del Partito Nikita Chruščëv.
Lo spazio di manovra geopolitico italiano è limitato, il Bel Paese è osservato speciale dall’amministrazione Usa dopo la fine del conflitto. La Penisola è sottoposta ai vincoli del bipolarismo di potenza sovietico-americano. Roma è guardata con sospetto per il suo passato, non riconosciuta ancora all’interno dell’alveo della cooperazione internazionale e vista come possibile focolaio dell’avanzata di Mosca per via della forte influenza del PCI, il più grande partito comunista d’Europa.
Nenni ha guidato il PSI nella drammatica fase post-bellica, svolgendo, prima dell’avvio della fase monocolore della democrazia cristiana, il ruolo di Ministro degli Esteri nel secondo governo De Gasperi, ruolo successivamente ricoperto anche nel governo Rumor nel 1968.
Per Nenni il viaggio a Pechino, nella delicata fase geopolitica globale dei blocchi contrapposti, ha un significato importante. Invitato dal Primo Ministro cinese, Zhou Enlai, il leader del PSI condivide per l’Italia la medesima aspirazione delle Cina: essere integrati all’interno della comunità internazionale, le Nazioni Unite. Obiettivo che l’Italia conseguirà proprio nel dicembre del 1955.

La Repubblica popolare cinese ha necessità di trovare alleati occidentali che possano favorire l’uscita dal suo isolamento ed avere un seggio nell’Onu, dove siede come rappresentante cinese, Taiwan, denominata Repubblica di Cina dopo la secessione della guerra civile ad opera del Kuomintang, il partito nazionalista uscito sconfitto da conflitto interno con le forze comuniste di Mao Zedong.
Nenni è affascinato dall’esperienza del comunismo cinese e dalla possibilità che Pechino possa giocare un ruolo terzo nella logica bipolare sovietica-americana. La missione del leader del PSI viene minimizzata dal Ministero degli Esteri che sottolinea come il suo viaggio non abbia una valenza istituzionale. Significativo ed emozionante, come riporta nel suo libro per Anteo Edizioni l’ambasciatore Alberto Brandanini, è l’incontro che Nenni terrà non solo con Zhou Enlai ma anche, uno dei pochissimi italiani ad aver avuto questa esperienza, con lo stesso Mao Zedong.

Al di là del leader carismatico della grande marcia, Nenni scopre in Mao Zedong un’affinità dettata dalla comune origine contadina, una vicinanza di natali non contaminata da influenze cittadine che connette le pianure e le lotte e dell’Emilia con le rivendicazioni dei lavoratori cinesi delle terre agricole del fiume Yangtze, nella terra natale del Grande Timoniere. Scorge negli occhi di Mao una vitalità in cui si rispecchia: “Mi parve un uomo vivo. Io mi sento bene con gli uomini vivi”. Medesimo giudizio Nenni riserverà anche a Krusciov, figura a colori rispetto alla tradizione dirigenziale sovietica.
Con il suo primo viaggio in Cina Nenni costruirà un canale diplomatico significativo con Pechino. Un percorso che si concretizzerà con il ruolo che il leader socialista avrà come Ministro degli Esteri nel 68’ e successivamente con il suo secondo viaggio in Cina nel 1971.
Il suo secondo incontro con Zhou Enlai segna infatti simbolicamente, all’età di 80 anni, il compimento di un cammino di caratura internazionale che aveva posto i rapporti con la Cina come pietra miliare. La seconda volta di Nenni a Pechino avviene infatti a poche settimane dalla svolta del 25 ottobre 1971, momento in cui la Cina otterrà il riconoscimento internazionale con il seggio nell’alveo delle Nazioni Unite in sostituzione di Taiwan.

In tale processo un ruolo non banale avrà proprio lo stesso Nenni nel suo ruolo istituzionale alla Farnesina. Al di là del conferimento eccessivo di un peso geopolitico all’Italia degli anni 70’ nel contesto del confronto delle superpotenze dei blocchi contrapposti, il leader socialista svolgerà, coerentemente con tutto il suo percorso politico, un ruolo dinamico e autonomamente attivo nel riconoscimento di Pechino rispetto alle linee guida delineate del Dipartimento americano.
Avviati già nel 1969, i negoziati italo-cinesi per il riconoscimento da parte di Roma della Repubblica popolare cinese verranno ritenuti eccessivamente prematuri da Washington, coinvolta nell’area indo-pacifica dal conflitto in Vietnam. La strategia di lungo periodo di Nenni non verrà però frenata dall’amministrazione americana.
Testimoniando uno scatto d’indipendenza geopolitica, l’Italia firmerà il 5 novembre del 1970 il documento di riconoscimento delle Cina popolare. Tale accordo anticiperà la risoluzione 2758 (XXVI) del 25 ottobre 1971, con la quale l’assemblea generale delle Nazioni Unite riconoscerà i diplomatici della Repubblica Popolare Cinese come “gli unici rappresentanti legittimi della Cina alle Nazioni Unite” ed espulse gli emissari della Repubblica di Taiwan”. Da sottolineare allo stesso tempo come gli Stati Uniti avessero in ogni caso elaborato già un graduale ammorbidimento della propria politica nei confronti della Cina in chiave antisovietica, come dimostreranno i viaggi di Kissinger e Nixon.
L’esperienza nenniana con la Cina rappresenterà, seppur poco conosciuta, una dei pochi casi di lungimiranza ed indipendenza della geopolitica italiana, troppo spesso vincolata a logiche di subordinazione dei blocchi contrapposti nel recente passato e oggi eccessivamente soggetta alle crescenti pressioni politiche filo-atlantiste.