“300 pecore obbediscono ad un cane perché non sanno contare”

Questo dice un antico adagio, di quale Nazione non si sa, perché forse va bene un po’ per tutte.
A questo pensavo una sera, tempo fa, seduta in Piazza di Pietra con un caro amico che mi lodava per il mio non esser pecora ma al contempo mi esortava a diventare cane, ma con il cuore.
E questa sera di quasi mezza estate -ma non sembrerebbe-, complici la calura romana e qualche incontro, tornano in me queste parole. E mi chiedo, in due righe, se davvero per rigenerare questa società, e le nostre imprese oltreché la politica, servano cani di buon cuore piuttosto che pecore istruite.
E davvero non so darmi una risposta.
Punto di partenza dell’indagine è l’analisi sociologica dalle conseguenze dell’idea moderna di relazione.
La “modernità” ha insegnato a concepire le relazioni come una proiezione dell’Io e dei suoi desideri, ma gli ultimi anni hanno sconvolto questa visione, costringendo a prendere atto che le relazioni non sono un prodotto della volontà dei singoli, ma hanno una dinamica propria capace di far emergere nuove strutture sociali, generatrici di bene comune, mai riducibile alla somma dei beni individuali. La salute, la libertà (in tutte le sue forme declinata) sono solo alcuni esempi.
Ciò che serve realmente è la rigenerazione della matrice culturale della nostra società, attraverso il superamento del punto di vista moderno e la promozione di una nuova società relazionale in cui sia data la priorità alle buone relazioni capaci di farci uscire dall’individualismo e dalla solitudine. La grande sfida, in questa prospettiva, sarà di configurare i sistemi sociotecnici in modo che le relazioni sociali padroneggino le tecnologie anziché viceversa.
Ci sono interessanti coincidenze da indagare, in questi nostri tempi così ruvidi eppur carichi di speranza.
Non una semplice “ripartenza” né una “ripresa” da dove ci eravamo fermarti, ma un lavoro che tiene conto delle fratture e delle radici della fragilità e però insiste per creare qualcosa di nuovo, perché dopo una crisi che ci ha messo di fronte ai nostri limiti, ripartire non basta. Bisogna “cambiare”.
Rigenerare, nella sintesi tra la memoria e il futuro, la consapevolezza della propria storia e la spinta creativa e critica all’innovazione.
L’orizzonte è quello della migliore tenuta sociale del sistema Paese, della ricostruzione della fiducia, dell’attuazione di riforme nel segno della produttività e della sostenibilità. Sfida economica, sociale, culturale. E politica, naturalmente.
Ecco che allora le singole pecore insieme non diventano lupo, ma non lo temono più.