Elogio del lato B

Tra le tante cose che l’evoluzione degli ultimi decenni ha cacciato nell’oblio, c’è anche lui: il lato B! Difficile trovare ormai qualche giovane che lo conosca veramente. Eppure, è una delle cose più interessanti e ricche di significato che ci fosse. In teoria i lati B erano tutti simili (bastava girare, e si trovava il lato B!), però in realtà bisogna distinguerli almeno in due categorie diverse, a seconda delle dimensioni: c’era il lato B dei dischi a 45 giri (detti anche «singoli») e il lato B dei dischi a 33 giri (detti anche «album»). C’erano anche varianti più rare e intriganti, per esempio il lato B dei «Remix» o dei «Q disc», ma per ora fermiamoci ai principali.
Cominciamo dal lato B dei singoli. I cantanti debuttanti, o anche quelli già un po’ celebri per creare attesa sul loro imminente album, pubblicavano una canzone: una canzone «singola», appunto, che si immaginava che diventasse celebre, che cominciasse ad essere trasmessa nelle radio (era l’epoca d’oro e un po’ artigianale delle radio private), che potesse essere canticchiata. La canzone andava dunque accuratamente scelta tra quelle già pronte (o di imminente pubblicazione in un album): doveva essere orecchiabile, trascinante. Problema: un disco a 45 giri può essere stampato sui due versi, può dunque contenere due canzoni: una nel lato A, appunto, una nel lato B. Se nel lato A viene messa quella destinata a diventare una piccola colonna sonora, che cosa mettere nel lato B? Risposta: qualsiasi cosa! Il lato A obbediva ad esigenze commerciali, il lato B no: era un di più, una scelta libera. La canzone del lato B poteva venire scelta solo perché era bella, perché piaceva al suo autore: nessun altro motivo. Spesso era più lenta, talvolta un po’ più elaborata, cioè meno condizionata dall’esigenza di dover essere canticchiata. Il risultato? A volte un riempitivo, ma spesso era più bella. Alcuni casi sono rimasti celebri: «Con il nastro rosa» del 1980 di Lucio Battisti era un lato B, ma divenuta (giustamente) più celebre del lato A «Una giornata uggiosa», che doveva essere quella trainante. La sua bellissima «Era» venne riproposta per ben due volte come lato B (nel 1967 e nel 1971). Nel 1976 la celeberrima «Alla fiera dell’Est» di Angelo Branduardi fu un lato B. Idem la «Canzone di Marinella» di Fabrizio De Andrè nel 1964, o «Piccola Katy» dei Pooh nel 1968. Ma anche quando non era destinato a diventar famoso, il lato B aveva per chi comprava sempre un po’ il senso della scoperta di una cosa un po’ segreta: il più delle volte il suo titolo non veniva neppure citato quando si nominava il singolo.
Il lato B degli album era un’altra cosa: in tutto si trattava di una decina di canzoni o poco meno, e il lato B ovviamente ne conteneva metà. Quando si ascoltava un disco a 33 giri, finita la prima metà il braccio si alzava (nei giradischi almeno semi-automatici), e bisognava che pure l’ascoltatore si alzasse, girasse con delicatezza il disco e facesse ricominciare l’ascolto. Insomma: il passaggio dal lato A al lato B era una piccola pausa tra primo e secondo tempo. In effetti tutti gli album, quale più quale meno, erano costruiti in maniera da costituire un discorso, con un inizio, una fine e anche (appunto) una pausa: dopo la pausa il discorso diventava spesso più ricco e interessante. A volte ognuno dei due lati aveva una sua personalità, certamente le canzoni di confine (la prima e l’ultima di ciascun lato) erano scelte accuratamente, a volte anche arrangiate in maniera opportuna. Ciò era evidente nei cosiddetti «concept album» in cui veniva raccontata una vera storia (per esempio «Questo piccolo grande amore» di Claudio Baglioni del 1972, o «Burattino senza fili» di Edoardo Bennato del 1977, o, per nominare un grandissimo disco con quattro lati, «The Wall» dei Pink Floyd del 1979, dove in ciascun lato non c’era pausa tra una canzone e un’altra). Ma si vedeva un po’ in tutti. Ascoltare oggi «Futura» di Lucio Dalla (1980) fa uno strano effetto: che cos’è quella lunga coda semi-strumentale? Ma ovviamente si trattava dell’ultima canzone del lato B! Solo alla fine del discorso, come peraltro nella già citata «Con il nastro rosa», ciò aveva senso. E infatti in entrambi i casi si trattava di due canzoni che parlavano del futuro incerto e (perciò) bellissimo dell’amore: una conclusione alla fine della quale dunque, seppure per un momento di piacevole distrazione, l’ascoltatore veniva rimandato alla sua propria vita e alla sua bellezza. Al di fuori di questo discorso alcuni pezzi addirittura sono privi di senso: chi conosce tutte le canzoni di «Strada facendo» di Claudio Baglioni (1981) ma non ha mai ascoltato l’album, sicuramente non sa neppure che cosa siano «Uno», «Due», «Tre» e «Quattro» (e non si rende conto che la canzone omonima è la prima del lato B!).
In anni in cui la stragrande maggioranza della musica viene ascoltata in modo «liquido», il lato B è di fatto sparito. Anche quando si ascolta un CD, che è ancora la cosa più simile ad un vecchio album, tutto è lato A, e saltare da un brano all’altro è così facile che l’idea che ci sia veramente un ordine e un discorso è molto tenue. Sicuramente anche gli artisti lo sanno e ci provano sempre di meno a costruire discorsi che pochissimi per forza di cose seguirebbero. E allora forse, se non più le canzoni, ci dev’essere qualcos’altro che oggi insegni la bellezza discreta del lato B: perché la vita assomiglia molto di più ad un album che a file MP3 che si possono aggiungere, cancellare e riordinare a piacere. E soprattutto quando si oltrepassa la metà della vita, è importante sapere che il lato B può essere ancora più bello del lato A.