Gelosia: ne muore una donna ogni quattro giorni

La gelosia elemosina un amore che essa stessa distrugge e logora. Negli ultimi due giorni sono morte altre due donne, per la precisione la diciassettesima e la diciottesima dall’inizio del 2018. Ogni quattro giorni una donna muore.
Il movente, nella maggior parte dei casi, è la gelosia dei partner. Ieri è morta Immacolata Villani, una donna di 31 anni. È stata uccisa con un colpo di pistola, probabilmente dall’ex marito, che adesso è indagato, poiché già denunciato per maltrattamenti dalla donna. L’ha uccisa davanti alla scuola della figlia. Il giorno prima, invece, a morire è stata Laura Petronio, 20 anni, uccisa dal marito con sei coltellate e poi gettata in un pozzo. In questo caso, l’assassino ha giustificato la sua azione: “è stato un raptus di gelosia”.
La gelosia non viene semplicemente provata, ma prima ancora subita. Per questo è difficile da estirpare e da combattere con la razionalità. Perché se la gelosia è subita, la violenza è sempre agita, è scelta e perpetrata.
La gelosia non è odio, non è rabbia e neanche possesso; è tutto insieme in un unico concentrato emotivo. In psicologia viene riconosciuta come un effetto o un’implicazione delle relazioni, specialmente affettive. Lo stesso Freud propone una concettualizzazione della gelosia distinguendola in tre forme, una delle quali è “la gelosia come proiezione della propria infedeltà” sull’altro. Si manifesta nella paura di perdere la persona amata, nel timore di non essere un polo insostituibile ed irrinunciabile nella vita dell’altro. La gelosia nasce dal crollo narcisistico di sentirsi, per l’altro, unici e speciali.
Questa profonda insicurezza, soprattutto se esasperata, porta a considerare l’altro non come un compagno, ma come una proprietà su cui poter esercitare dei diritti, senza prendere in considerazione la volontà e le necessità della persona “amata”. Ecco che la gelosia, stato d’animo diffuso, diventa un’esasperazione per chi la nutre e per chi la subisce. Infierisce nella vita di entrambi, vittime passive di un sentimento irrazionale che li distrugge.
La gelosia di cui si sta parlando è ovviamente la degenerazione nella patologia: gli studi hanno cercato di definire dei parametri soglia per stabilire il confine tra gelosia “normale” e patologica. È ritenuto “normale” quel sentimento episodico e transitorio che non provoca sofferenza propria o altrui, mentre, gelosia patologica quella fissazione che supera il limite soglia di sessanta minuti al giorno. In altre parole, se in una giornata si pensa insistentemente e con sofferenza all’eventuale tradimento da parte del partner per più di un’ora, questo deve essere considerato come un campanello d’allarme.
La gelosia è talmente subita da generare, in chi la prova, ansia, depressione, emozioni intense negative e comportamenti aggressivi e ossessivi. Quando la gelosia assume forme eccessive può divenire la tematica principale di un disturbo delirante e il delirio è dato dalla certezza di essere traditi dal proprio partner. Quando l’accusato nega, chi accusa diventa ancora più insistente ed aggressivo, mettendosi alla ricerca di altri tradimenti da lui immaginati.
Il fatto che, nel corso del 2018, stia morendo, assassinata, una donna ogni quattro giorni significa che la gelosia è un virus contagioso che azzera l’empatia e offusca la razionalità stessa. Perché si arriva a picchiare o ad uccidere per gelosia, per possessività?
La violenza è spesso una reazione immediata, quasi scontata, che imbratta i muri e squarcia i silenzi. È la reazione viscerale di chi si trova al buio e non vede via d’uscita. La devianza non è presente soltanto nella violenza, ma in ciò che la produce. Molte di queste morti sono culturali, provocate da una precisa e subdola tradizione culturale. Quella della “donna di proprietà”. Uccidere, in questi casi, significa rimanere coerenti e al tempo stesso imbrigliati all’interno di una rete concettuale e semantica, tanto intrusiva quanto sedimentata, che fa della donna un oggetto del quale disporre a proprio piacimento.
Il discorso si estende a macchia d’olio, tracciando un ponte che collega la gelosia come patologia psichica alla gelosia come fenomeno culturale. Non che le due realtà si equivalgano o possano essere scambiabili vicendevolmente, ma molto spesso rappresentano due facce della stessa medaglia. Raramente si svilupperà una gelosia patologica nella persona stabile che sa comprendere il senso della reciprocità e che conosce il significato culturale della parola relazione. È uno stare in azione rispetto a qualcuno, è il modo di essere di qualcuno rispetto ad un altro. “Azione” e “essere”: realtà propositive e attive, dinamiche e libere. Non “inerzia” e “non essere”: il contrario di essere non esiste, è solo non, è solo privazione, è solo nulla. E nulla è la vita di chi la perde e nulla è la vita di chi la toglie per capriccio e insicurezza.
La violenza è la reazione deviata rispetto al senso di umanità, ma è la possibile e fattuale conseguenza di una matrice culturale che continua a mercificare l’immagine fittizia della donna: angelo del focolare o puttana. In entrambi i casi la donna subisce le conseguenze di decisioni altrui, è dimessa e all’angolo, non decide e non sceglie. Gioisce e soffre per decisioni altrui.