Buon viaggio Maestro

Non avevamo preparato un coccodrillo, perché pensavamo fosse immortale. Ma con ogni probabilità Giorgio Albertazzi, il Maestro, lo sarà in forme che prescindono dalla sfera terrena. L’attore toscano si è spento alle 9 di questa mattina nella casa della moglie Pia De’ Tolomei di Lippa, aveva 92 anni. Nato a Fiesole, il 20 agosto 1923, si era esibito l’ultima volta a teatro con Il mercante di Venezia.
L’ultimo ricordo che ho di lui è quello all’uscita del Teatro Ghione, dopo la messa in scena del Re Lear di Shakespeare. Era circondato da ragazzi di sessant’anni più giovani, tutti pendevano dalle sue labbra. Tutti, compreso me che me ne stavo alla giusta distanza, un po’ intimorito dalla sua figura prorompente. Portava una coppola in testa e andava a braccetto con una sua collaboratrice. Poteva sembrare un distinto anziano qualunque, se non fosse che poco prima aveva letteralmente dominato il palcoscenico portando avanti l’intera pièce da solo, con un timbro di voce potente, intenso, inconfondibile, e una gestualità magica, magnetica. Gli anni che portava addosso non sembravano un peso e questo, in qualche modo, rendeva inconcepibile il pensiero di una sua partenza per l’ “iperuranio”.
Ebbi la fortuna di incontrarlo ancor più da vicino qualche anno prima, nella sua suite d’albergo, nel quartiere Parioli di Roma. Clara, la mia compagna, riuscì a farsi concedere un’intervista e colsi la palla al balzo per andare a conoscerlo. Fu una folgorazione.
Lo trovammo seduto in poltrona, con le gambe accavallate e lo sguardo concentrato sui fogli di giornale. Aveva appena fatto colazione e sul suo letto c’era ancora il vassoio argentato pieno di tazze e bicchieri. C’eravamo seduti sul divano di fronte a lui, quando d’un tratto alzò lo sguardo e rivolgendosi a Clara disse: “Beh, cosa vuole questa ragazza?”. Sapeva benissimo cosa voleva. La sua collaboratrice glielo aveva ricordato qualche minuto prima di farci salire in ascensore. Ma l’assenza di banalità gli concedeva il lusso di non dover dire “buongiorno” o cose simili e sprecare così il tempo in convenevoli. Attese piuttosto una risposta, e quando ebbe la conferma di ciò che giustificava la nostra presenza nel suo dorato spazio, iniziò a parlare senza interruzione.
L’eleganza, il modo di interloquire, la capacità di attirare l’attenzione, facevano di lui un mito vivente. In quell’occasione assistetti perlopiù ad una disquisizione sulla vita di Marguerite Yourcenar, che il Maestro riadattò in Memorie di Adriano (da quando debuttò alla Villa Adriana di Tivoli nel 1989, ha raggiunto quasi 1000 repliche, in Italia e all’estero). Ma ebbe anche il tempo e la voglia di raccontarci dei suoi spettacoli in giro per il mondo, di quello -forse uno dei più suggestivi- nell’antico Teatro di Segesta, in Sicilia, dove si andava in scena con le prime luci dell’alba, con il pubblico che sedeva sui gradini quando ancora era buio. E si compiacque molto quando – con una battuta- gli dissi che il sole che la gente aspettava non si trovava in cielo. Rise a crepapelle, e allora fui io a compiacermene.
Nella sua vita e sul palcoscenico è stato Don Giovanni. Nemico della noia, sosteneva che non bisognasse far durare una storia per più di tre anni. Eppure l’ amore vero Albertazzi ce l’ha avuto. Quello per l’attrice Anna Proclemer, iniziato nel 1955 e mai completamente finito. Insieme fondarono la compagnia Proclemer-Albertazzi e raggiunsero molti traguardi come il debutto nel ’64, all’ Old Vic di Londra con Amleto, in occasione del 400º anniversario della nascita di Shakespeare, o come nel ’69 alla Scala di Milano in Edipo re di Sofocle.

Il Maestro è stato uno dei più grandi artisti teatrali italiani riconosciuti in tutto il mondo. Debuttò nel 1949 con Luchino Visconti al Maggio Musicale Fiorentino in Troilo e Cressida di Shakespeare. E da allora la sua carriera è stata in costante ascesa. Irripetibili le performance in Lezioni americane e il Mercante di venezia.
Partecipò ad oltre 40 film, tra cui L’anno scorso a Marienbad di Alain Rasnais che si guadagnò il Leone d’Oro nel ’61, oltre venti sceneggiati e fiction: Delitto e castigo nel ’54, L’idiota del ’59 dal romanzo di Dostoevskij e il leggendario dottor Jekyll e mr. Hyde nel ’69.
Oltre ad attore è stato architetto, regista, autore e anche fotografo e in gioventù aderì alla Repubblica di Salò, una scelta che gli costò il carcere, ma che non rinnegò mai. Lo stesso Albertazzi che nel ’68 sostenne le lotte dei lavoratori delle fabbriche che sventolavano bandiere rosse e che qualche anno più tardi si impegnò nelle campagne per il divorzio e l’aborto. A testimonianza del fatto che non lo si potesse collocare in nessuno schieramento politico: né di destra, né di sinistra. Semplicemente uomo libero, perché -come lui stesso ricordava-: “un uomo è ciò che ha fatto, ma è anche ciò che pensa”.
Buon viaggio Maestro.