Un pugno di sabbia

Dopo due giorni di consultazione a Roma tra gli investigatori italiani e egiziani, non è emersa alcuna novità sul caso Regeni. La verità inseguita da mesi sul giovane ricercatore scomparso al Cairo il 25 gennaio scorso, sembra essere ancora un miraggio. La famiglia Regeni, insieme a chi chiede a gran voce che sia fatta luce sul caso, si ritrova per l’ennesima volta con in mano un pugno di sabbia: quando si pensa di averla afferrata ecco che scappa via per i pertugi dei palmi.
Durante i colloqui gli investigatori egiziani hanno presentato un dossier di una trentina di pagine totalmente insufficiente, addirittura non plausibile e ridicolamente riempito di informazioni già pervenute all’Italia un mese fa. Nello specifico -fa sapere la procura di Roma- “sono stati consegnati i tabulati telefonici delle utenze egiziane in uso a due amici italiani di Giulio Regeni presenti a Il Cairo nel gennaio scorso, la relazione di sopralluogo, con allegate foto del ritrovamento del corpo di Giulio Regeni, una nota ove si riferisce che gli organizzatori della riunione sindacale tenuta a Il Cairo l’11 dicembre 2015, cui ha partecipato Giulio Regeni, hanno comunicato che non sono state effettuate registrazioni video ufficiali dell’incontro”.
La risposta del Governo italiano è stata immediata e si è tradotta con il richiamo dell’ambasciatore al Cairo Maurizio Massari. “Vogliamo una sola cosa, la verità” dicono sia Matteo Renzi sia il ministro Gentiloni. “Siamo amareggiati” riferiscono invece Paola e Claudio Regeni, che si dicono comunque “certi che le nostre istituzioni e tutti coloro che stanno combattendo al nostro fianco questa battaglia di giustizia, non si fermeranno”.
Ma sarà una lotta dura, questo è ormai chiaro, perché se da un lato gli egiziani promettono di continuare a collaborare, dall’altro prendono tempo prezioso. “In relazione alla richiesta del traffico di celle presentata ancora una volta dalla Procura di Roma – scrive infatti Pignatone – l’autorità giudiziaria egiziana ha comunicato che consegnerà i risultati al termine dei loro accertamenti, che sono ancora in corso”. “La procura- aggiunge la nota- ha insistito insistito perché la consegna avvenga in tempi brevissimi sottolineando l’importanza di tale accertamento da compiersi con le attrezzatura all’avanguardia disponibili in Italia”.
Quindi l’analisi del traffico telefonico per capire quali apparecchi fossero presenti nella zona, quando Giulio è sparito, ancora non si può fare. E questo è un punto di scontro. L’altro è quello relativo al ritrovamento dei documenti di Giulio in casa della sorella di uno dei membri di una banda ritenuta artefice del suo rapimento. Una banda che non può più difendersi dalle accuse, poiché tutti i componenti sono morti in uno scontro a fuoco con le forze di polizia. Anche su questo gli egiziani fanno melina e riferiscono che “solo al termine delle indagini sarà possibile stabilire il ruolo” che la banda ha avuto nella sua morte.