Russia: Pussy Riot e Putin, democrazia o dittatura?
Dopo il costante ed ampiamente diffuso scandalo sul caso Pussy Riot sorge quasi spontaneo domandarsi quali regime viga in Russia: democratico o dittatoriale?
Note come gruppo collettivo punk rock dal convinto ideale femminista le Pussy Riot si sono immediatamente contraddistinte al livello globale per aver messo in atto, in particolare, una “preghiera anti-Putin” nella Cattedrale di Cristo Salvatore, nel cuore di Mosca. L’evento ha comportato l’arresto delle attiviste impegnate con relative ripercussioni.
Dopo due settimane di affermata incertezza una delle integranti del gruppo, Nadezhda Tolokonnikova, è stata trasferita in un campo di lavoro in Siberia. Ad annunciarlo è stato il marito Pyotr Verzilov con un post su twitter.
Proprio due settimane prima era stata trasferita dal carcere delle Mordovia in ospedale, in seguito ad uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni di lavoro forzato e per le intimidazioni ricevute dagli amministratori della prigione. Stando alle dichiarazioni del marito Tolokonnikova aveva diffuso una lettera nella quale denunciava le cattive condizioni in cui si trovava a seguito delle quale sarebbe stata spostata in un carcere penitenziario in piena Siberia.
Il rappresentante per i diritti umani della Russia, Vladimir Lukin, ha assicurato che le condizioni di salute di Nadezhda Tolokonnikova sono soddisfacenti e che è sotto controllo medico.
Quando si parla di “campi di lavoro in Siberia”, la mente rimanda ai gulag (campi di concentramento sovietici ndr) ai tempi della dittatura comunista russa, di conseguenza, questa notizia, non può far altro che suscitare forti e pesanti dubbi. Se i diritti umani possono risultar tali, basta annunciare che le condizioni salutari della ragazza siano buone per tranquillizzare il marito?
A tutto ciò c’è una presunta ipotesi: democrazia latente. La parola dittatura potrebbe sconvolgere qualcuno.
Claudia Passa
9 novembre 2013