Cina. L’irresistibile ascesa: i segreti del pensiero di Pechino

L’impenetrabilità della Cina è custodita nel suo silenzio, dal non detto, dallo spazio vuoto. Se la verità è per la cultura europea ciò che si disvela attraverso l’Aletheia, ciò che viene riportato alla luce dall’oblio del nascosto, per Pechino il senso non è nella definizione ma nell’allusivo, non nella parola ma nel riserbo. La Cina, come spiega il sinologo F. Jullien, si viene definendo come una variabile storica indipendente, un’eterotopia che misura lo spazio culturale occidentale, in particolare della tradizione greco-romana.
L’analisi di Alberto Bradanini, ambasciatore d’Italia in Cina dal 2013 al 2015 e presidente del Centro Studi sulla Cina contemporanea, ci guida in un processo di riflessione sulle profondità della Cina post maoista e del nuovo corso segnato dall’economicismo denghiano.

Bradanini delinea in modo lucido le dinamiche geopolitiche che caratterizzano la diplomazia cinese a partire della graduale integrazione di Pechino nei mercati globali. Il piano di riforme (gaige kaifang) delineato dal Piccolo Timoniere, Den Xioaping, segna l’avvio di un processo progressivo della politica economica di Pechino. Dalle ZES costiere alla graduale apertura per le joint venture con capitali stranieri, l’economia dello Stato-civiltà cinese si delinea secondo un modello orientato allo sviluppo e alla crescita, uno Stato identificabile nel paradigma del capitalistic developmental state.
La strategia “sviluppista” di Pechino, potenziata dall’ingresso della Cina nella WTO, definisce in modo crescente il paradigma di un’export oriented industrialization, un economicismo neo-mercantilista basato su vantaggio comparato e implementazione della tecnologia. Un modello influenzato dal metodo di produzione asiatico strutturalmente fondato su forme di autoritarismo estrattivo e un regime a carattere collettivistico.
La riflessione di Bradanini si interroga in particolare sulle conseguenze ideologiche dello sviluppo di un’economia socialista di mercato sul patrimonio marxista-leninista del partito comunista cinese. Il processo di de-ideologizzazione avviato dalla fase del comunismo denghiano pone nuove sfide alla dirigenza del PCC, il cui principale obiettivo rimane la stabilità e la crescita economica del paese secondo un accordo non scritto che pone l’uscita dalla povertà e il miglioramento delle condizioni vita dei cinesi come elemento vitale per il sostegno popolare al partito.

Finora il pragmatismo di radice confuciana, in linea con un’interpretazione cinese del marxismo-lenismo (priva della radice feurbachiana dalla liberazione individuale), ha consentito al PCC di adattare e ricalibrare le scelte politico-economiche sulla base dei processi storici e delle dinamiche reali della produzione. Tale approccio ha posto in secondo piano discussioni teoretiche all’interno degli apparati dirigenziali riuscendo ad ottenere risultati estremamente significativi dal punto di vista della crescita economica.
Quale sarà il futuro ideologico del Partito Comunismo Cinese? La cooptazione dei ceti imprenditoriali all’interno degli apparati del PCC, platealmente delineata dal sistema teorico espresso dalle tre rappresentanze di Jiang Zemin, delineerà un graduale allineamento della dirigenza partitica agli interessi capitalisti e finanziari globali? Il futuro della contemporaneità riecheggia con forza nei silenzi di Pechino.