E’ criminale chi utilizza la detenzione e il rimpatrio ai fini propagandistici?

Kristi Noem, segretaria della Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ha ispezionato, mettendo in bella mostra la sua presenza tramite social network, il carcere di massima sicurezza CECOT a El Salvador dove dallo scorso marzo sono stati deportati dagli Stati Uniti più di 230 membri della banda criminale Tren de Aragua.
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha invocato la legge sugli stranieri nemici del 1798 per deportare rapidamente i presunti membri di questa organizzazione criminale, legata a rapimenti, estorsioni, crimini organizzati e omicidi su commissione.
La segretaria per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, KristiNoem, ha visitato il carcere di massima sicurezza a El Salvador, dove sono detenuti i venezuelani accusati dall’amministrazione Trump di legami con bande criminali.Noem, cappellino da agente e sguardo da leone dietro la tastiera, ha ispezionato le celle affollate, l’armeria e le unità di isolamento del CECOT. La struttura è composta da otto padiglioni e può ospitare fino a 40mila detenuti,ogni cella può contenere da 65 a 70 prigionieri, ma nel video postato dalla segretaria alla sicurezza nazionale, ai fini propagandistici per dare maggiore forza alle attività di repressione della criminalità della Presidenza Trump, i detenuti erano molti di più suscitando le critiche delle organizzazioni internazionali per i diritti umani.
La trattativa El Salvador- Stati Uniti
Lo scorso febbraio, durante la visita del segretario di Stato americano Rubio, il presidente di El Salvador Nayib Bukele ha avanzato una proposta controversa, ovvero trasferire nelle carceri salvadoregne detenuti pericolosi attualmente reclusi negli Stati Uniti in cambio di sostegno economico, tramite aiuti economici bilaterali e condizioni favorevoli per i prestiti del Fondo monetario internazionale, nonché sostegno politico alla sua presidenza.
L’amministrazione Trump ha colto al volo questa “offerta senza precedenti”, massimizzando con il minimo sforzo uno dei temi fondamentali della propaganda Trumpiana, la sicurezza interna, il 16 marzo, due jet partiti dal Texas hanno deportato in El Salvador circa 250 presunti membri della gang venezuelana Tren de Aragua.
Fin dal suo annuncio, la proposta del presidente Bukele ha suscitato un acceso dibattito, sollevando interrogativi sulle implicazioni politiche, legali e sui diritti umani; infatti,i detenuti sono stati trasferiti nel famigerato “Centro de Confinamiento del Terrorismo” (CECOT), una delle carceri più temute al mondo e simbolo dell’approccio estremo adottato dal Presidente di El Salvador nella sua lotta alla criminalità organizzata.
Origini e funzionamento del mega-carcere “CECOT“
Dal 2019, Bukele ha costruito il proprio consenso attorno a una politica di sicurezza intransigente. Inaugurato nel 2023, il CECOT rappresenta il culmine di questa politica,la struttura è situata nella regione rurale di Tecoluca, a circa 74 km a sud-est di San Salvador, e con una superficie di 57 acri e una capacità di 40.000 detenuti ha il primato di essere la prigione più grande dell’America Latina.
Ma perché un Paese con una popolazione di appena 6 milioni di abitanti ha bisogno di una prigione di tali dimensioni? La risposta risiede nelle gang, come l’MS-13 e il Barrio 18, che per lungo tempo hanno controllato le strade di El Salvador. Nel marzo 2022, proprio in risposta a un’escalation di violenza scatenata nell’ambito di una guerra tra organizzazioni criminali, Bukele ha dichiarato lo stato di emergenza. La repressione che ne è seguita ha portato all’arresto di oltre 80.000 persone, rendendo El Salvador lo Stato con il tasso di incarcerazione più alto al mondo, pari al 2% della popolazione adulta.
Il CECOT si erge come un simbolo tangibile della nuova strategia del presidenteconcepita per concentrare i membri delle bande più pericolose, una fortezza sorvegliata da 250 agenti di polizia e 650 soldati, circondata da un doppio muro con filo spinato e da una recinzione elettrica da 19.000 volt, dotata di 19 torri di controllo. Ogni dettaglio è stato pensato per eliminare qualsiasi possibilità di fuga. I detenuti vivono in condizioni di isolamento quasi totale verso l’esterno, in un regime di sorveglianza costante con guardie armate mascherate che monitorano ogni movimento, mentre le luci sono accese 24 ore su 24. La disciplina è rigida, 23 ore e mezza al giorno di confinamento e l’unico momento di libertà è limitato a 30 minuti di esercizi fisici o letture bibliche.
Il CECOT è stato infatti progettato come un centro di “confinamento speciale “, destinato a interrompere le dinamiche di potere che hanno da sempre caratterizzato le carceri di El Salvador, da cui i leader delle bande continuano a controllare le loro operazioni.
La prigione giusta per la propaganda giusta
Il “modello Bukele” ha suscitato interesse in America Latina, con i leader politici di Argentina, Colombia e Cile che citano il pugno di ferro salvadoregno per applicare misure più severe nei loro paesi. Tuttavia, replicare tale modello altrove potrebbe non essere così semplice. El Salvador presenta caratteristiche uniche: criminalità concentrata in alcune aree urbane, dominate da poche gang strutturate di cui il governo possiede un database dettagliato, e un forte dispiegamento di forze di sicurezza, con un rapporto di un agente ogni 100 abitanti.
Il trasferimento di detenuti americani alle prigioni salvadoregne solleva, tuttavia, dubbi sulla sua legittimità e potrebbe creare un precedente pericoloso per la gestione internazionale dei detenuti. L’amministrazione Trump, infatti,ha giustificato l’accordo comeun’opportunità per ridurre il sovraffollamento carcerario e rafforzare le politiche di deportazione. Tuttavia, il piano di sicurezza dell’Amministrazione Trump potrebbe incontrare ostacoli legali nella stessa Costituzione statunitense che vieta la deportazione dei propri cittadini, garantendo loro il diritto di rimanere nel Paese. Inoltre, un trasferimento forzato potrebbe violare il 5° e il 14° Emendamento, che tutelano il giusto processo.
Per giustificare le espulsioni dei venezuelani e per avere ragione della propria linea politica, Trump ha invocato l’Alien Enemies Act, una legge del 1798 che conferisce poteri straordinari al presidente in tempi di guerra o minaccia di invasione e che era stata utilizzata solo tre volte, durante la Guerra del 1812 e le due guerre mondiali.
Con una dichiarazione del 14 marzo, la Casa Bianca ha infatti definito la gang venezuelana “Tren de Aragua” una “forza invasiva” paramilitare, soggetta quindi alle leggi di guerra. L’American CivilLiberties Union ha intentato una causa per conto di 5 venezuelani accusati di far parte della gang, i quali hanno negato qualsiasi affiliazione e hanno sostenuto di essere stati identificati erroneamente. Nonostante il giudice federale, James Boasberg, ha inizialmente bloccato la deportazione di questi individui,l’amministrazione Trump ha ribaltato la decisione del giudice, con tanto di visita ufficiale della Noem e video social, continuando a deportare detenuti nel carcere salvadoregno.
Al di là delle questioni giuridiche, la proposta dell’Amministrazione Trump, oltre a lucrare propagandisticamente sulla pelle di esseri umani che potrebbero non essere poi effettivamente colpevoli dei capi d’accusa loro imputati, solleva preoccupazioni più ampie sul futuro delle politiche migratorie e penitenziarie a livello globale. Se l’accordo tra El Salvador e Stati Uniti dovesse diventare una forma ordinaria di carcerazione, potrebbe aprire la strada a una nuova strategia internazionale per la gestione dei detenuti, trasformando le carceri in strumenti di diplomazia, nonché riducendo la responsabilità degli Stati nella gestione dei propri detenuti, creando un precedente per il trasferimento di prigionieri in paesi con standard inferiori in materia di diritti umani.
In tal senso e con le dovute differenze, l’accordo Italia-Albania per la creazione extra territoriale di centri di rimpatrio ben si colloca nel solco della gestione “fuori porta”, inaugurata dall’Amministrazione statunitense tramite accordi bilaterali tra Stati, dei rimpatri di immigrati irregolari espulsi cui potrebbero, tuttavia, venire eluse le prerogative individuali sancite dai diritti umani e dallaConvenzione internazionale di Ginevra sui rifugiati del 1951.
D’altronde, la matrice comune tra l’accordo USA-El Salvador per la deportazione dei detenuti e l’accordo Italia-Albania per la realizzazione dei centri per il rimpatrio extra territoriali è la stessa, ovvero dare risultati concreti e tangibili, non per questo giuridicamente validi, alle proprie narrazioni propagandistiche perché in fin dei conti oggigiorno, così come nella società, anche nella politica viviamo la stagione dell’apparire piuttosto che la stagione dell’essere e del sapere.