La Tradizione Pagana del “Maggio” di Pastena

Il 30 aprile di ogni anno, Pastena, un piccolo paese in provincia di Frosinone, propone un rituale dalle antiche origini pagane, la festa del “Maggio”.
Un albero viene scelto come simbolo dell’evento e accettato a mano da alcuni uomini, quindi fatto cadere e trasportato fino al paese grazie alla forza delle mucche e dai cittadini tramite corde.
La natura pagana della festa subisce poi una fusione con l’elemento cristiano: il Maggio è infatti intrinsecamente legato alla festa della Santissima Croce, riscoperta in Terra Santa da Flavia Giulia Elena (248-329), madre dell’imperatore Costantino I, Santa Patrona di Pastena.
Il 3 maggio, festa della Santissima Croce, prende vita la gara a chi riesca a salire fino alla cima dell’albero del Maggio issato e coperto di grasso. Sulla sommità della pianta infatti, sono posizionati alcuni dolci, salumi e denaro, che il vincitore mette a disposizione per una cena con i gareggianti.

Il rituale del Maggio
L’albero di anno in anno candidato a rappresentare il nuovo Maggio è tipicamente un cipresso.
A causa delle sue foglie sempreverdi e del legno ritenuto incorruttibile, il cipresso in molte culture, come in quella celtica, è considerato l’immagine vegetale dell’immortalità.
Qualsiasi sia il punto di partenza o il suo tragitto, il Maggio dovrà passare in un determinato luogo, ovvero presso la curva detta di Sant’Antonio e lì dovrà attendere almeno mezzogiorno per ripartire.
Una volta raggiunto il paese viene lasciato e ripreso la sera nella stessa modalità per essere condotto fin sopra la piazza più alta, specularmente rispetto all’orario diurno, a mezzanotte.
Il giorno successivo, il 1° maggio, viene pulito della corteccia e issato, ancora per mezzo di funi.
L’albero sarà rimosso solo a settembre, in occasione della festa di un altro Santo protettore di Pastena, San Sinforo.

Il culto arboreo di rifondazione
Dalla scelta dell’albero, alla preparazione dei dolci destinati alla collettività, la festa del Maggio prevede un’attivazione diretta della popolazione e una suddivisione spontanea dei compiti, delle onerose attività preliminari al rito, attenendosi ad una trasmissione esclusivamente orale degli elementi della tradizione.
Ogni anno una commissione si occupa di perlustrare, escludere, selezionare, gli alberi candidati a diventare il futuro Maggio al fine di eleggere la pianta più bella e robusta.
La mattina del 30 aprile una cerchia di uomini dà vita allo spettacolo del taglio del Maggio realizzando come un danza di accette che, alla fine, porterà l’albero a inclinarsi e a cadere, guidato dalle funi.
Le forze che questo rito sprigiona per coinvolgere la collettività sembrano riconducibili, oltre che alla tradizione millenaria pagana prima e al culto di devozione cristiana dopo, anche alla potenza della simbologia che l’albero del Maggio evoca e di cui ogni nuova generazione sa beneficiare.
Il culto legato all’albero del Maggio sembra rifondare di anno in anno il senso di una comunità che, in questo giorno, decide di riallacciare il suo legame con la natura e con la sua più profonda essenza.

Il culto del cibo
Tutta la festa è percorsa dal filo rosso del cibo, non come semplice oggetto di convivialità, bensì come strumento che scandisce i momenti e li separa.
Per un mese nel forno comunale vengono preparati i dolci che sono oggetto di scambio tra il Mastro di Festa e coloro che desiderano donare un contributo in soldi o alimenti.
Infatti, di anno in anno, l’onere dell’organizzazione della festa passa da una famiglia all’altra, e insieme a questa, la Croce, condotta fisicamente nella casa del Mastro di Festa, affinché doni protezione e supporto nei momenti di difficoltà.
Il lavoro diurno di preparazione dei dolci è svolto dalle donne chiamate ad aiutare dai Mastri di festa, e si alterna a quello notturno di cottura delle ciambelle lievitate due volte.
Ogni momento nel forno è accompagnato da formule e da preghiere cristiane cantate.
La tappa finale e lo scopo ultimo di questo lavoro sarà la distribuzione alla collettività che avviene il 30 aprile alle 23:30, durante l’Abbusso, ovvero quando il prete bussa alla porta del Mastro di Festa arrecando la Santissima Croce circondato da una folla in trepidante attesa che questa venga accolta.
La condivisione gratuita del cibo interessa ancora altri momenti: una vitella, che incarna lo spirito della festa e dell’Albero del Maggio, sarà sacrificata e la sua carne distribuita ad amici e aiutanti.
Si dispensano panini e bevande durante la simbolica sosta del Maggio a mezzogiorno nei pressi della grande curva di Sant’Antonio, oltre la quale si scorge la vista di Pastena.
Infine il Mastro di festa uscente si congeda con un altrettanto generoso banchetto presso la sua abitazione.

I segreti delle donne
La costruzione del rito del Maggio, auspicio di fertilità e abbondanza e inno di benvenuto alla primavera, ha regolato le attività di uomini e donne e definito lo spazio entro cui giocano due ruoli diametralmente opposti: quello femminile è un terreno di attesa e di pazienza, di coalizione laboriosa e armonica tra le fornaie anziane esperte e le più o meno giovani apprendiste.
L’ambiente prediletto è l’interno di una casa il cui fulcro è il forno, luogo reso sacro dal canto e dalle preghiere.
Presso le donne risiedono le ricette delle antenate, riportate alla mente e tramandate oralmente.
La ciambella che cresce durante la notte è il simbolo di questa pratica femminile fatta di attesa e calore: il suo impasto è preparato da più mani femminili simultaneamente che, similmente agli uomini durante il taglio dell’albero, compiono una danza di gesti sincronizzati.
Questa coalizione discreta e silenziosa fra le donne le porta a identificarsi con il ruolo di protettrici della cultura del cibo, e perciò garanti della pratica della condivisione e del sentimento di convivialità.

Il campo di gioco maschile
Il campo di gioco maschile, al contrario, si nutre della competizione che mira alla spettacolarizzazione della virilità.
L’uomo è come su un palcoscenico: il suo ruolo all’interno del rito lo vede impegnato nei soli ambienti esterni, dove attesta la sua forza e la sua devozione con aggressività.
Egli deve urlare creando un gran vociare durante la fase del taglio, quando il gioco della conta decreta l’ordine dei partecipanti.
I vaccai usano parlare a gran voce alle mucche per farsi ascoltare, e ancora, gli uomini che “guidano” il Maggio dispensano tra loro indicazioni urlando durante il trasporto.
Lo stesso fucile dei cacciatori è una cassa di risonanza che amplifica la virilità maschile e la trasferisce all’orecchio di tutti.
Tra gli uomini non si disdegna la lite, intesa come momento di rivendicazione di un sapere non scritto, quindi oggetto di interpretazioni.
La salita del palo è infine il trionfo della spettacolarità e una dimostrazione di resistenza, agilità, strategia e risoluzione, inserite nel contesto della gara.
L’identità dell’uomo è quindi costruita sulla logica della fatica esibita, conclamata e riconosciuta quale segno evidente di devozione massima alla Santissima Croce e allo Spirito della Vegetazione, implicitamente incarnato dal vincitore della gara.

Calendimaggio, Valpurga e Beltane
Il rituale primaverile affonda le sue radici in epoca precristiana e si declina differentemente in vari paesi d’Europa.
Per le religioni agricole antiche la resurrezione della divinità non era da intendersi nel senso cristiano, attraverso il corpo, perché la divinità risorgeva nella vegetazione. Secondo Propp, linguista e antropologo russo del ‘900, “l’incarnazione della forza è costituita da un albero”.
Ancora oggi molto diffusa in Europa centro-settentrionale è la cosiddetta Notte di Valpurga, che, come il Beltane per Celti, si celebra nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio: in questo momento di passaggio, balli, canti e falò avevano il compito di purificare il bestiame e dare il benvenuto alla Primavera.

Un rituale di rinascita
Guardando alla natura simbolica dell’Albero del Maggio si può tracciare un parallelo tra il processo di trasformazione dell’oggetto e quello antropopoietico dell’individuo soggetto.
L’albero esce dal bosco in cui è protetto, supera la sua natura selvaggia e, attraverso l’opera culturale dell’uomo, perde i tratti che lo riconducono ad uno stadio di vita naturale.
La sua rinascita a elemento culturale viene sancita poco prima del taglio, dalla benedizione del prete.
Muovendo dalla campagna fin dentro il centro storico, l’identità selvaggia del vegetale muta, si trasforma e diventa parte della comunità.
L’individuo soggetto vive il processo di trasformazione insieme all’albero e rifonda il senso del proprio essere sociale, membro di uno specifico contesto culturale.
Mentre dà il benvenuto alla sua opera, egli rigenera se stesso e il suo legame con il mondo, cancellando il torpore di un inverno buio, lungo e percorso dal pericolo.
Come in un atto sessuale e creativo, la carica fallica dell’albero, evidenziata dall’esplosione di virilità degli uomini, si unisce alla fertilità e al calore del ventre/forno femminile, il cui frutto è la ciambella lievitata, simbolo da tempo immemore della festa del Maggio pastenese.
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Foto in copertina di Massimo Rosati.