Non mi sento straniero: la storia di Mido, arrivato con la barca

Cosa significa salire su una barca, attraversare il Mediterraneo e rischiare la vita per cercare una vita migliore? Si può, una volta arrivati, convivere tra culture diverse? Per rispondere a queste domande ci siamo fatti aiutare da Mido, ragazzo tunisino che nel 2011 è arrivato in Italia attraverso il mare.
D: Quando sei partito dalla Tunisia? Perché hai deciso di abbandonare il tuo paese?
R: Sono partito il 27 febbraio 2011. Dopo le primavere arabe le frontiere finalmente si aprirono e decisi di lasciare la Tunisia. All’epoca ero ancora minorenne. Ricordo che una mattina mi accorsi che nel mio quartiere non c’era più praticamente nessuno: tutti avevano approfittato della possibilità di trasferirsi e allora sono partito anche io. Inoltre non vivevamo, al tempo, in modo invidiabile: andavo a scuola e facevo dei lavori saltuariamente, ma più che un lavoro era sfruttamento, infatti mi pagavano pochissimo quando andava bene, molte volte non ricevevo proprio soldi. Quando ho lasciato la Tunisia speravo infatti di trovare una situazione migliore.
D: Il viaggio com’è stato? Quanto hai pagato?
R: Fortunatamente non ho dovuto pagare poiché conoscevo la persona che si occupava di organizzarlo, sennò veniva a costare sui 1500/2000 dinari, quasi 1000 euro, una cifra bella grossa, infatti molte persone investono così i risparmi di una vita intera, oppure se li procurano vendendo l’oro o i mezzi privati che utilizzavano per andare a lavoro. Il viaggio è stato molto duro, dato il periodo dell’anno pioveva e c’era molto vento, inoltre siamo partiti di notte, ma la parte peggiore è stata sicuramente il giorno dopo: quando è sorto il sole e abbiamo potuto vedere ciò che ci circondava. Ti rendi veramente conto allora di quanto sei in pericolo. Eravamo su una piccola barca circondati dal mare e potevamo vedere solamente il blu, sopra, sotto e tutto intorno, nient’altro che blu. Speri di arrivare, ma anche che non ti capiti niente perché ovviamente nessuno si preoccuperà di te. In tutto ci sono volute circa 16 ore per arrivare a Lampedusa.
D: Una volta arrivati a Lampedusa cosa avete fatto?
R: Appena arrivati siamo stati divisi in maggiorenni e minorenni e poi ci hanno accompagnati presso delle ambulanze che erano nelle vicinanze del porto per visitarci. Dopodiché siamo andati in un centro di accoglienza dove saremmo dovuti essere ancora divisi per età, ma dato l’alto numero di persone siamo stati mischiati. Siamo rimasti lì per 15 giorni, dove abbiamo ricevuto pasti e vestiti puliti, dopodiché sono stato spostato ad Agrigento in un altro centro di accoglienza. Poi mi hanno spostato a Catania, a Palermo e successivamente a Roma. Dalla capitale sono stato portato a Cisterna di Latina in un altro centro di accoglienza. Qui la situazione era chiaramente migliore dato il maggior spazio disponibile, inoltre c’era maggiore organizzazione. Noi dovevamo seguire il corso di italiano, due ore al giorno, che era obbligatorio per imparare la lingua ed avere accesso ai documenti. Potevi anche fare dei corsi che ti preparavano al lavoro (giardiniere, pizzaiolo, …) a scelta, mentre nel pomeriggio frequentavamo una scuola di musica. La cosa migliore è che, a differenza di Lampedusa, qui eravamo occupati tutto il giorno e tutti i giorni, ad esempio alcune volte ci hanno portato a raccogliere le olive, oppure i kiwi e venivamo anche pagati, seppur non con un vero e proprio stipendio. Una volta raggiunti i diciotto anni ovviamente devi abbandonare questo centro per i minorenni, ma da lì sono stato spostato in un altro centro a Roma perché hanno notato che nel frattempo mi ero comportato bene e soprattutto avevo dimostrato di aver voglia di imparare e di fare. Questo è stato una sorta di regalo, in cui hai, per un anno, un posto letto e due pasti. In questo anno devi cercare un lavoro per renderti autonomo e non dover più stare nel centro.
D: Dopo il centro sei riuscito a trovare un lavoro?
R: Sì, a Roma sono riuscito a trovare un lavoro in una pizzeria, ma venivo sfruttato: per i documenti che avevo in realtà non avrei potuto lavorare, così quando il proprietario se n’è accorto se n’è approfittato. Guadagnavo inizialmente 300 euro al mese, ma quando ha capito la mia situazione ha deciso di darmene la metà, o a volte niente, perché comunque io non potevo denunciarlo. Da lì me ne sono andato e ho iniziato a cercare un altro lavoro, mettendo un annuncio su Porta Portese. Grazie a questo sono stato chiamato da Maurizio (colui che attualmente lo ospita) che mi ha contattato dicendo che cercava una persona che si occupasse di lavori di manutenzione per la casa e per il giardino e ho accettato. In questo modo sono dunque arrivato nel paese di Giove (TR). Ora abito in questa casa (di Maurizio, ndr) e mi occupo della casa, del giardino e lo aiuto con il suo lavoro (costruire scenografie per il teatro, ndr). Finalmente ho la possibilità di avere un lavoro regolare e dei documenti. A Maurizio devo molto perché oltre a “sistemarmi” mi ha anche aiutato ad integrarmi, soprattutto con i ragazzi del paese.
D: Quindi sei riuscito ad integrarti bene?
R: Sì, sia a Giove che ad Attigliano (paese limitrofo, ndr). Fortunatamente qui non ho avuto problemi nel farlo, né sono stato mai vittima di episodi di razzismo. Molto devo anche alla squadra di calcio del paese, grazie alla quale il mio processo di integrazione non è stato affatto un problema: sono stato accolto benissimo e ho fatto un sacco di amicizie. Il calcio serve soprattutto a questo, a legare le persone ed a farle sentire in una seconda famiglia. Ovviamente sono stato anche fortunato nel trovare le persone “giuste” che non mi hanno mai fatto sentire uno straniero, a loro devo moltissimo.
D: Possiamo dire che, forse, sei stato “aiutato” anche dal fatto che l’immigrazione non era sentita come oggi?
R: Sì, certo. Il mio parere comunque è che se vuoi integrarti un paese, qualsiasi, devi rispettare le persone, la legge e la cultura che trovi e questo è valido per ogni posto, perché ti devi sempre ricordare che comunque sei un ospite. Poi ci sono però persone, alcune venute anche con me, che non hanno voluto fare questo ragionamento e hanno vissuto esperienze diverse con le quali non sono riuscite ad integrarsi, infatti si spostano di continuo. Dipende tutto da te, da cosa vuoi e cosa non vuoi fare.
D: Per quanto ti sia integrato hai comunque mantenuto la tua religione, le tue radici? Esistono posti in cui, purtroppo, questo non è possibile.
R: Sì, sì, certo! Sono ancora musulmano e faccio, ad esempio, il Ramadan. Per quanto riguarda i paesi in cui è difficile integrarsi l’ho vissuto anche sulla mia pelle. In un periodo ho provato a recarmi in Francia, a Parigi, dove c’era un mio parente che aveva una vita stabile. Dopo essere arrivato, passando illegalmente e pagando un’altra persona, ho notato che lì, un suo vicino da ormai 10 anni continuava ad evitarlo ed a non dirgli nemmeno buongiorno quando si incontravano fuori di casa. Ma allo stesso modo anche in Germania ad esempio. Esistono paesi che hanno una determinata mentalità condivisa che tende al rifiuto dello straniero, del diverso, probabilmente per la paura del diverso. Qui in Italia, invece, non ho avuto alcun problema: io sono musulmano in un paese di cristiani e conviviamo tranquillamente tutti.
D: Quindi non hai avuto problema con l’Italia o con gli italiani?
R: No no, il contrario! Qui ho ricevuto un grande aiuto, posso dire di essere stato salvato! Se fossi rimasto in Tunisia non so come sarei stato ora. Quando sono partito, le primavere arabe erano appena scoppiate quindi il sistema era pressoché, ancora, identico a prima e infatti non c’era libertà di espressione. Fortunatamente poi in Tunisia la legge islamica non era fondamentale come in altri paesi.
D: Avevi deciso di venire proprio in Italia?
R: In realtà no, per noi l’Italia è il punto “di salvataggio”, come per i marocchini la Spagna, semplicemente il punto più vicino. Molti infatti la usano come un paese di approdo, di passaggio, tanto che la maggior parte dei tunisini si trova in Francia anche per le affinità linguistiche, ma soprattutto in Francia hanno quasi in tutti casi un parente.
D: Cosa ne pensi del clima che si sta instaurando nei confronti degli stranieri?
R: Tira un’ariaccia come si dice. Ripeto che, secondo me, se sei venuto qui per migliorare la tua condizione di vita in modo legale non importa il tuo paese di origine o il colore della tua pelle, se sei una persona onesta che ha voglia di lavorare non c’è nulla di male. È comunque ovvio che come in ogni caso ci sono anche le mele marce che hanno intenzioni tutto fuorché legali. Non bisogna però fare di tutta l’erba un fascio. Inoltre, per quanto riguarda l’informazione, vedo che si parla sempre di stranieri che commettono reati, è poi normale che l’opinione delle persone si sposti una certa direzione. Inoltre la politica gioca un ruolo fondamentale: gli immigrati sono un bersaglio molto facile per entrambe le parti, ovvero sia per chi dice che non vanno accettati in alcun modo, sia per chi invece afferma di accoglierli tutti.