In morte di Walter Tobagi: storia di un Giornalista

Essere giornalista è una vocazione. Una di quelle pazze e assurde che ti rendono un martire della parola e uno storico degli eventi. Sai che devi scrivere e farlo con uno scopo elevato per giunta. Penna e taccuino alla mano. Il giornalismo di cui parlo è lo stesso in cui credeva Walter Tobagi, l’inviato numero uno del «Corriere» quando il terrorismo rosso e nero avevano dichiarato guerra allo Stato.
Esattamente 45 anni fa, il 28 maggio 1980, quello stesso giornalista, fu ucciso in nome della sua vocazione. Una banda minore, un gruppo di sei elementi – prima Guerriglia rossa, poi sotto il nome di Brigata 28 Marzo – uccise Walter Tobagi a Milano.
Sei proiettili sparati da due pistole calibro 7,65. Uno alla schiena, uno alla mascella, al torace, al fianco destro e al piede destro. Quello mortale aveva reciso l’aorta, un ultimo fu inflitto alla spalla sinistra. Un accanimento che urlava “non saremo di meno delle Brigate Rosse”.

Il Contesto
Erano gli anni ’70-’80, gli anni in cui l’Italia fa guerra all’Italia. La situazione sociale era fragile, lo Stato una macchina politica inefficace, repressiva e distante. Giovani e operai lottavano per i propri diritti. Diritti che rivendicavano con la violenza. Sono gli anni del movimento femminista, la società italiana iniziava a confrontarsi con una dura verità: è tempo di cambiare.
Di questo fervore si fanno portavoce giornalisti e giornaliste. Il primo tra tutti era Walter Tobagi. In un mondo in cui i giornalisti diventavano il bersaglio, un simbolo da eliminare per mandare un messaggio di lotta rivoluzionaria, la morte era solo una parte del patto. Un’eventualità accettata per amore del ruolo che si ricopre.
Walter sapeva di rischiare. Durante quegli anni la scorta era un miraggio destinato solo ai direttori – e il resto dei giornalisti “in trincea”. Tuttavia il suo primo pensiero non era alla morte, ma al giornalismo. Quella sposa con cui aveva convolato a nozze tanti anni prima del suo matrimonio con la moglie Stella. In fondo non valeva la pena di guastarsi le giornate con il terrore di morire. La paura c’era, ma si lavorava per amore dei lettori, dell’opinione pubblica. E lo si faceva con la stessa cura e dedizione con cui una madre pensa al proprio figlio. Di figli Walter Tobagi ne aveva due, Luca e Benedetta, ma il primo restava il giornalismo.
Chi era Walter Tobagi
Il suo ruolo non è mai stato riassumibile nella scrittura. Testimone di un’epoca, prima che attento cronista di un’onesta intellettuale inaudita, Walter Tobagi rappresenta un modello del giornalismo d’inchiesta. Il suo modo di lavorare era innanzitutto rendere un servizio alla società, combattere la lotta ai pregiudizi.
Durante il periodo del terrorismo italiano, – lo stesso che ne procurerà la morte – Tobagi ha cercato di restituire il quadro complesso di un capitolo della storia italiana in tutta la sua drammaticità. Spiegare la complessità dei fenomeni, mantenendo sempre rigore e indipendenza era un imperativo che non poteva mancare nel suo attento lavoro. E forse proprio quello che gli è costato la morte.
Il prezzo del giornalismo
Per molti giornalisti — da quelli che raccontavano il terrorismo in Italia negli anni ’70 e ’80 come Walter Tobagi, a quelli che oggi seguono in prima linea la guerra — la morte non è solo un pericolo esterno, o un destino imposto. E’ una scelta etica, dolorosa, e il giornalismo un matrimonio che richiede fedeltà, sacrifici e, in alcuni casi, la censura. L’ultimo prezzo: la vita.
Sono i casi di giornalisti che in tutto il mondo muoiono, spesso nell’anonimato. Il loro lavoro è importante. In questi anni a Gaza si è spesso parlato di giornalisticidio. Dal 7 ottobre del 2023, il prezzo che la comunità giornalistica ha pagato è stato molto alto. Oltre 230 giornalisti e operatori dei media sono stati uccisi, con la maggior parte delle vittime palestinesi, ma anche israeliani, libanesi e siriani. Questo conflitto è stato definito il più letale nella storia del giornalismo.
Le giornaliste, in particolare, sono state bersagliate in modo mirato. Tra le vittime più recenti c’è Fatima Hassouna, una fotografa palestinese uccisa il 16 aprile 2025 in un attacco aereo israeliano a Gaza City, insieme a dieci membri della sua famiglia. La sua morte ha suscitato indignazione internazionale.
Ma ci sono anche casi in cui non si perde la vita, ma quello che più si ha di caro. Ad esempio, Marina Ovsyannikova è una giornalista russa che nell’aprile 2022 ha interrotto una trasmissione in diretta per denunciare la propaganda del governo di Mosca. Questo le è costato l’esodo dal suo stesso Paese.
L’anniversario della morte di Walter Tobagi torna a parlarci di una professione fortemente a rischio e poco tutelata. Nella pratica spesso mancano meccanismi efficaci per difendere i giornalisti, specialmente all’estero. Le protezioni legali spesso sono inssufficienti. In quei Paesi autoritari o in regimi repressivi che cercano di controllare l’informazione, l’indipendenza dei giornalisti è in serio pericolo e spesso sono bersaglio proprio perchè denunciano fatti scomodi. La tutela del giornalismo libero è un impegno imprescindibile ieri, oggi e domani. Proteggere chi racconta il mondo è proteggere la nostra democrazia.