La maxi storia di Vegas Jones
Nuovo appuntamento con Fiori di Cemento. Abbiamo oggi il piacere di avere con noi uno degli emergenti più forti della scena. Ventidue anni, talento e attitudine. Ciao Vegas, benvenuto su Fiori di Cemento. Partiamo da qualcosa di molto recente: il video di Bel Air sul web sta spopolando. Ti aspettavi un riscontro simile?
Sì siamo a 250mila views in due settimane. Diciamo che me lo sentivo, come fosse nell’aria, avessi indovinato il singolo avrei alzato il livello. Evidentemente è piaciuto e sono stracontento di questo.
I tuoi ultimi singoli, per quanto riguarda le produzioni portano la firma di Kid Caesar e Boston George, quest’ultimo nel roster di Dogozilla Empire. Com’è nato il sodalizio con questi produttori?
Di Dogozilla conosco un po’ tutti i produttori, conosciuti tutti in situazioni abbastanza casuali. George aveva prodotto Fly, con cui ho collaborato, è salito su a Milano e ha sentito la mia roba in studio, gli è piaciuta e abbiamo iniziato a lavorare insieme. Mi piace il loro concept, il sound è molto americano rispetto alle francesate che vanno oggi. Kid è giovanissimo, ha 19 anni, abita nel mio isolato e si appoggiava allo studio dove andavo a registrare. Anche lui era in contatto con Don Joe, poi non se n’è più fatto nulla.
Negli ultimi mesi, tra l’altro, di singoli ne hai fatti uscire diversi; anticipano un lavoro ufficiale?
Sì sicuramente sì, anche perché c’è tanta richiesta. Quando hai 6-7 pezzi fuori non puoi lasciare la gente ad ascoltare musica solo su Facebook e You Tube, entro fine anno uscirà un prodotto di grande qualità. Ho tante nuove tracce già pronte, tempo di raggrupparle e scegliere le migliori. Produzioni affidate ai soliti, Majestic, Kid Caesar e Boston George.
Come mai hai deciso di uscire da Honiro?
Fondamentalmente è stata una questione musicale: mi sono reso conto che la mia musica risentiva del fatto di essere legato ad un’etichetta con un’immagine già forte. Avendo sempre proposto qualcosa di fresco e molto personale sentivo il bisogno di sentirmi libero di fare quello che volevo. Poi vabbè ci sono anche discorsi di rapporti personali, ma l’aspetto principale è quello legato alla musica.
Tu vieni da Cinisello Balsamo, come Sfera, e come lui hai sempre posto l’accento sul tuo quartiere di provenienza. Si può dire che grazie a voi, a Milano, sta tornando in auge il concetto di quartiere?
Beh Sfera non è proprio di Cinisello. So che ci usciva, ha dei giri, ma non è di Cinisello. Poi vabbè ora quella del quartiere è un po’ una moda. Il blocco è ospitale per noi però non ci vedo nulla di speciale. Io ne ho sempre parlato ma nel modo giusto, tre anni fa feci pure un video apposta. Comunque è una cosa buona, io l’ho sempre condivisa. Il quartiere influenza tutto, dalla produzione artistica al bagaglio personale.
E’ vero che non ascolti rap italiano?
Diciamo che non sono un ascoltatore di rap italiano, ascolto quello che esce, quello che c’è da sentire ma non ho pezzi sul telefono o su altri dispositivi. Dovessi darti un giudizio ti direi che comunque preferisco la roba nuova, quella che facciamo noi giovani.
Con quale artista ti sei approcciato al rap?
A 6 anni ascoltavo Snoop Dogg, Xzibit e tutto quel giro. Diciamo che sono arrivato al rap grazie alle macchine, giocavo a Need For Speed e c’erano le colonne sonore rap. L’inizio è stato così, casuale e spontaneo come tutte le cose belle. Mio fratello, Majestic, a 12 anni iniziava a produrre perché io iniziavo a fare rap.
E fra gli artisti della ‘nuova scena’ c’è qualcuno con cui ti piacerebbe collaborare?
Guarda, uno con cui ho collaborato e con cui mi piacerebbe fare altra roba è sicuramente Fly. E’ uno dei 2-3 artisti italiani che ascolto, poi lavora anche con Boston e si crea una situazione fantastica, abbiamo un suono veramente americano e penso siamo su un altro livello di rap rispetto al resto della scena. Ora si sta andando tanto sulla francese, dagli argomenti al mood ghetto criminal, è una figata per carità ma a noi piace fare roba più americana e in questo Fly, come me, è sempre stato molto avanti.
Che tipo di definizione daresti del tuo modo di fare rap? E’ possibile inserirlo in qualche filone?
Io, come detto, ho un modo di ‘pensare’ il rap molto americano, l’imprinting è quello. Non saprei dirti se si può dare una definizione, però quello che sento io quando rappo è che rappo bene, riesco ad evolvermi, a svariare su più fronti, a fare roba sempre nuova.
Ora sei in giro con il Panama Summer Tour. Come sta andando?
Siamo riusciti a chiudere diverse date facendo tutto da soli, speriamo se ne aggiungano altre. A me suonare dal vivo piace veramente un sacco e la gente se ne accorge, anche Honiro mi scelse per le mie capacità sul palco.
Dopo il tour invece cosa dobbiamo aspettarci?
Restate connessi perché a settembre facciamo un casino!
Ringraziamo Vegas e gli facciamo un grosso in bocca al lupo per il tour e tutti i progetti futuri.
Grazie a voi, alla prossima!