Il caso Epstein: ombre su un filo che lega Washington e Mosca

Ogni volta che il nome di Donald Trump riemerge in relazione al caso Epstein, sembra esserci uno strano elemento di correlazione che torna puntuale: un’improvvisa intensificazione dei contatti con Mosca.
La coincidenza si è ripresentata ora, con l’annuncio di un incontro “di alto livello” tra il tycoon e Vladimir Putin, e a proporlo, secondo quanto sottolineano fonti ufficiali russe, sarebbe stata proprio la parte statunitense.
L’incontro è atteso per il 15 agosto, in Alaska – lontano da spiagge affollate e folkloristiche “cocomerate” – anche se inizialmente era stata proposta l’Italia come sede, poi rifiutata da Mosca perché ritenuta simbolicamente troppo vicina alla resistenza ucraina.
Dietro i canali della diplomazia ufficiale però, stando a quanto sembra, si muoverebbe un gioco molto meno geopolitico e molto più personale. L’iniziativa è stata comunicata con sobrietà istituzionale da Yuri Ushakov, consigliere presidenziale russo e figura di lungo corso negli apparati del Cremlino: “su proposta di Washington – ha dichiarato – è stato sostanzialmente concordato un incontro bilaterale nei prossimi giorni”; queste poche parole, pur se misurate, hanno saputo sconvolgere i circuiti dell’intelligence europea, come un allarme incontrollato che suono dopo un lungo periodo di crisi.
Secondo fonti vicine ad alcuni analisti di Bruxelles il vero tema dell’incontro dunque non sarebbe l’Ucraina. Al centro della questione ci sarebbe ancora Jeffrey Epstein, il miliardario squalo della finanza al centro di una rete di traffico e ricatto internazionale, morto in circostanze dubbiose ma ufficialmente classificate come suicidio. Secondo queste valutazioni, Putin potrebbe detenere materiali “non pubblici” sul caso, tra cui registrazioni, appunti riservati e persino frammenti video in grado di documentare il coinvolgimento di figure americane di primo piano, che dunque terrebbero sotto scacco l’attuale amministrazione USA nel tavolo dei negoziati, e, più in generale, di tutta l’attività politica.
La Russia però non sarebbe l’unico attore in possesso di simili archivi. Sembra infatti che già negli anni Novanta parte del materiale legato a Epstein potrebbe essere finito nelle mani del Mossad, l’intelligence israeliana. “Epstein – riferisce una fonte internazionale con lunga esperienza – fungeva da ponte tra la finanza statunitense e interessi globali meno visibili. È stato protetto a lungo, e non certo per altruismo”.
Le indiscrezioni tracciano così un quadro in cui Putin muoverebbe le pedine su più tavoli, e da prima di lui Israele. Per Trump, alle prese con indagini parallele e rivelazioni della stampa indipendente americana, l’incontro con il Cremlino potrebbe rappresentare un’occasione per disinnescare una minaccia potenzialmente devastante per la sua stessa vita pubblica: l’obiettivo, dunque, se ciò fosse confermato, non sarebbe soltanto proteggersi da ricadute politiche, ma anzi soprattutto impedire che determinate informazioni emergano in modo incontrollato.
Dietro le quinte, secondo quanto riportano varie testate a mezzo di fonti non ancora svelate, si ipotizza un possibile scambio: materiale compromettente in cambio di garanzie, silenzi o addirittura concessioni in grado di influenzare futuri equilibri strategici. “Putin – osserva una fonte italiana – non concede nulla per caso. Se oggi apre la porta a un incontro, è perché possiede qualcosa che Trump non può permettersi di ignorare”.
Mentre i media ufficiali potrebbero presentare l’eventuale vertice come l’ennesimo tentativo di dialogo tra superpotenze, negli archivi riservati dei servizi segreti il titolo sembra invece già scritto: non un capitolo di diplomazia, ma una mossa disperata in una partita giocata nelle ombre.