Baby modelle. Quando il “gioco” diventa sfruttamento
La popolana Maddalena Cecconi sogna per la figlia Maria, una bambina alquanto impacciata e per nulla ambiziosa, un futuro da attrice che riscatti i suoi sogni giovanili repressi e consenta alla famiglia una rapida ascesa sociale.
Come molti ricorderanno, questa è la trama del film drammatico “Bellissima”del 1951 diretto da Luchino Visconti e interpretato da una intensa Anna Magnani; una pellicola neorealista che già allora sollevava una riflessione sull’impiego dei minori nel mondo dello spettacolo e sulle reali aspirazioni e propensioni dei bambini.
Il film, realizzato 70 anni fa, è ancora oggi quanto mai attuale.
Il fenomeno dei bambini e degli adolescenti inseriti nel mondo dello spettacolo è, infatti, ancora assai diffuso, con notevoli implicazioni analizzate con particolare efficacia nel libro-inchiesta “Bellissime. Baby miss, giovani modelle e aspiranti lolite” della giornalista Flavia Piccinni edito da Fandango.
«La mia inchiesta è partita nel 2013, quando in un albergo di Prato mi ritrovai davanti a una passerella impressionante con bimbe di 4 – 6 anni truccatissime costrette a sfilare». Così l’autrice ha raccontato la genesi del suo libro in una conferenza stampa che si è svolta in Senato l’11 ottobre, in occasione della Giornata Mondiale dei diritti delle bambine e delle ragazze.
La Piccinni incuriosita dalle baby modelle, vestite e truccate da adulte, con atteggiamenti ammiccanti e ipersessualizzati si è voluta immergere nel loro mondo per capirne ambizioni e delusioni.
Ha, così, scoperto una realtà pericolosa anche per l’immaginario di stereotipi di genere che crea e che finisce per influenzare bambini e genitori. Sì, perchè le bambine sulle passerelle sono vestite e truccate come le top model adulte, cui si ispirano più o meno incosciamente, con il rischio di venire intrappolate nello stereotipo di donna- oggetto che ancora pervade gli spot e i programmi tv.
Non meno trascurabili sono, poi, le implicazioni pedopornografiche alimentate dalla riproduzione e diffusione, anche attraverso i social, delle fotografie di queste bambine, ignare dello sfruttamento cui è sottoposta la loro immagine.
Forse è il caso, allora, di riflettere con più attenzione sul fenomeno, per capire quanto davvero divertente sia per le bambine sfilare ed essere ammirate sulle passerelle o sui set pubblicitari e quando, invece, il “gioco” non si trasformi per loro in una forma di sfruttamento minorile, che può nascondere seri rischi per la salute fisica e psicofisica dei bambini.
Per avere cognizione di questo sfruttamento lavorativo basta pensare a Pitti Bimbi, la fiera di riferimento mondiale della moda per bambini che si svolge ogni anno alla Fortezza da Basso di Firenze. Intorno a questa manifestazione ruota un business da 2.7 miliardi di euro, che fagogita i bambini, sottoposti a ritmi di lavoro troppo stressanti per la loro età, tenuti senza acqua, allontanati dai genitori. Tra l’altro l’aumento dell’offerta di bambini per servizi fotografici e sfilate ha fatto crollare i compensi che vanno dai 100-200 euro per una sfilata, dai 200 ai 500 euro per uno spot, a soli 30 euro per un redazionale pubblicitario.
Un mondo spietato che poco ha a che fare con la dimensione ludica e spensierata dell’infanzia, cui hanno diritto tutti i bambini.
Le leggi attuali cosa prevedono?
Le norme in materia sono ormai datate, parliamo della legge 17 ottobre 1967, n. 977, e della circolare n. 67 del 1989 del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali che stabilisce varie prescrizioni in base all’età dei minori e, dunque, precisa che, se per un bambino fino a 3 anni “deve essere posto a disposizione dei genitori o del tutore un locale idoneo atto a garantire il soddisfacimento delle principale esigenze fisiologiche del bambino” e “l’impegno lavorativo non potrà in alcun modo superare le tre ore giornaliere e deve avvenire in presenza del genitore o del tutore o di persona da questi espressamente delegata”, per un minore dai 6 ai 15 anni “le ore lavorative non devono superare complessivamente le 7 ore giornaliere e le 35 ore settimanali”.
Anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, all’articolo 24, comma 2, dispone che: “In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminenti.
Tali norme appaiono però insufficienti; non bastano ad arginare un fenomeno sociale grave e pericoloso nè a garantire ai bambini le necessarie tutele. Servirebbe una disciplina più rigida, accompagnata da campagne di sensibilizzazione e comunicazione che aprano gli occhi dei minori e dei genitori sui rischi cui vanno incontro i propri figli una volta inseriti nel mondo della moda e più in generale dello spettacolo.