Tra una settimana si vota per le primarie del PD
Domenica 30 aprile si svolgeranno le primarie del Partito Democratico che andranno ad eleggere il nuovo segretario nazionale del partito. Il 9 aprile la convenzione nazionale del PD ha certificato che i tre candidati sono: Matteo Renzi, Andrea Orlando e Michele Emiliano. Dopo circa tre anni dalle scorse primarie, svoltesi nel 2013, gli elettori del PD sono chiamati a scegliere il nuovo segretario, un passo importante per capire anche quale sarà la linea politica che il partito adotterà.
Michele Emiliano Magistrato in aspettativa dal 2003, è stato sindaco di Bari dal 2004 al 2014, anno in cui viene eletto segretario regionale del PD per poi essere eletto nel 2015 a presidente della regione puglia. Nel 2016 ha firmato con l’attuale presidente del consiglio, Matteo Renzi, il Patto per la Puglia con cui sbloccare 2,7 miliardi di euro per la regione da destinare ad investimenti per il territorio. Parallelamente si impegna anche per le politiche sociali, arrivando ad introdurre in Puglia il Reddito di dignità regionale: un reddito minimo garantito per coloro il cui isee arriva fino a tremila euro. Il suo rapporto con l’ex presidente del consiglio ed ex segretario del partito è alquanto controverso, più volte infatti è stato in contrasto con Matteo Renzi: egli stesso ha promosso il referendum per la durata delle trivellazioni in mare, a proposito del quale Renzi si è opposto; durante la campagna del referendum costituzionale promosso da Renzi, Emiliano è tra quelli del suo partito che sostiene il NO; infine entra in contrasto con Renzi per non aver stanziato 50 milioni nella legge di bilancio approvata dal suo governo che sarebbero stati destinati alla sanità di Taranto per combattere l’aumento delle malattie dovute all’inquinamento causato dagli impianti dell’Ilva. Era sul punto di abbandonare il Partito Democratico per affluire nel movimento capeggiato da Bersani e Speranza, nato dopo la scissione, ha deciso di restare nel partito e candidarsi alle primarie.
Andrea Orlando Dopo lo scioglimento del Partito Comunista, in cui nasce la sua carriera politica, Orlando ricopre il ruolo di assessore alle attività produttive con il Pds al comune di La Spezia. Nel 2000 entra nei DS e nel 2007 aderisce al Partito Democratico. Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio durante il governo Letta, è stato uno dei promotori della legge per le emergenze ambientali nella terra dei fuochi e dell’Ilva. Con questa legge vengono forniti ai magistrati maggiori strumenti per combattere i roghi di rifiuti e facilitare la bonifica di territori inquinati, oltre a stanziare 50 milioni l’anno per i controlli sanitari alle popolazioni che abitano i territori colpiti da reati ambientali. Nel 2014 diviene ministro della Giustizia del governo Renzi, con cui ha dovuto da subito fronteggiare il problema delle carceri sovraffollate e ha portato a termine la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. Per la corruzione ha promosso il potenziamento dell’ANAC e aumentato le pene per i reati di corruzione, mentre sul fronte della lotta alla criminalità organizzata è stato tra i sostenitori della riforma del reato scambio elettorale politico-mafioso e della riforma del codice Antimafia. Inoltre ha sostenuto le leggi sulle unioni civili, sugli ecoreati e sul caporalato.
Matteo Renzi Presidente della provincia di Firenze dal 2004 al 2009, sindaco di Firenze dal 2009 al 2014 e presidente del consiglio dal 2014 al 2016, è stato il presidente del consiglio più giovane dello Stato italiano. Nel 2010 lancia lo slogan della rottamazione senza incentivi ed insieme a Civati, che sarà poi suo avversario alle primarie del 2013, fonda l’assemblea Leopolda, che prende il nome dalla stazione di Firenze in cui ogni anno da allora si svolge il convegno politico. Si candida nel 2012 alle primarie per il centrosinistra, perdendole contro Bersani, soprattutto nelle “regioni rosse”. L’anno seguente si candida nuovamente alle primarie del PD e vince con il 67% dei voti, divenendo così segretario. Nel 2014, dopo le dimissioni rassegnate da Letta, Renzi viene incaricato dall’allora presidente della Repubblica Napolitano, di formare il governo. Durante il suo governo le riforme più famose sono il Jobs Act (il quale riforma, tra gli altri, l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori) e la riforma della pubblica istruzione Buona Scuola. Ha inoltre proposto la riforma costituzionale Renzi-Boschi per la quale si è votato al referendum del 4 dicembre che l’ha visto sconfitto e a seguito del quale ha deciso di rassegnare le dimissioni da Presidente del Consiglio e da segretario del Partito Democratico.
I sondaggi sono tutti concordi su chi sarà il vincitore, ovvero Matteo Renzi che si attesta al 65% circa, Orlando al 25% circa ed infine Emiliano con il 10% circa dei voti. L’ultima settimana di dibattito è stata spesa sulle stime previste per l’affluenza al voto: circa un milione. Orlando ha affermato che se così sarà, sarebbe un mezzo fallimento per il partito, mentre Renzi resta fiducioso. Ciò che è vero è che i partecipanti alle primarie dal 2007 sono in continuo calo: si è passati dagli oltre tre milioni e mezzo di allora ai circa due milioni e otto del 2013. Non sono certo da biasimare tutti quelli che si sono arresi o che hanno deciso non recarsi più alle urne del proprio partito ed i motivi sono certamente da ricercare in una lotta fratricida che sembra avere poco di concreto, in particolar modo in un periodo in cui l’Italia e gli italiani hanno bisogno più di fatti che di retorica, il più delle volte perfino sterile.
Da una parte abbiamo i due acerrimi nemici: Renzi ed Emiliano. Il giovane, anche se ormai poco, fiorentino continua ad esaltare le gesta del proprio governo e a diffondere sorrisi di fronte a qualsiasi telecamera o smartphone. Il governatore pugliese prova invece a rivestire il ruolo dell’oppositore, dimenticandosi del fatto che nel Partito Democratico è rimasto senza appoggio, forse non accorgendosi della fuoriuscita dei suoi alleati Bersani e Speranza. Resterebbe Orlando, dotato di poco carisma e che soffre quindi particolarmente la contesa tra gli altri due sfidanti.
Dunque ora anche i dubbi sull’affluenza alle primarie, oltre ai sondaggi per le elezioni nazionali in cui il Movimento 5 Stelle, dipingono il Partito Democratico come sempre meno attraente agli elettori italiani. C’è da sperare che una volta terminata la corsa per le primarie, tra una settimana, qualcuno torni ad aprire gli occhi sui problemi che gravano sul bel paese, magari lasciando da parte l’autoreferenzialità che contraddistingue la classe politica tutta, la stessa che dice da tempo ormai di voler combattere il populismo, ma che pare non abbia iniziato alcuna lotta.