Legge di stabilità 2017, una manovra insufficiente

E’ quasi surreale l’atmosfera che media elettronici e giornali hanno creato più o meno consapevolmente intorno al varo della nuova Legge di stabilità. Sebbene sia presentata con minuzia certosina, con titoli spesso altisonanti, paradossalmente chi ne parla non si sofferma su questioni rilevanti che la stessa Legge contiene (o non contiene), limitandosi a fotografare il fatto senza considerare il rovescio della medaglia.
A livello squisitamente tecnico, possiamo considerare accettabile la scelta; primo dovere di un giornalista è riportare il fatto tout-court, in modo che il lettore abbia davanti a sé gli strumenti per porsi domande e costruirsi una propria opinione. Ma come spesso il lettore ha avuto modo di apprezzare, specie nel modello giornalistico mediterraneo (Italia, Grecia, Portogallo, Spagna e – in misura minore – Francia) il livello tecnico si contamina con gli artifizi stilistici che – piaccia o meno – mirano sostanzialmente a incanalare lo sguardo dell’opinione pubblica verso lidi più sereni. Come rilevato da D.C. Hallin e P. Mancini «Si può affermare che in tutti i paesi mediterranei la logica politica tende a rivestire il ruolo principale nella televisione, in particolare nei telegiornali e nei programmi d’approfondimento. Questo significa che l’agenda delll’informazione non è dettata da giudizi puramente giornalistici su ciò che ‘fa notizia’, bensì è il frutto di una determinata linea politica».
Ancora più incisivo è il pensiero di Enzo Forcella, noto giornalista scomparso nel 1999: «Quando cominciai a fare il giornalista, pensavo che il giornalismo fosse prima di ogni altra cosa informazioni, fatti, notizie… Mi sono accorto lentamente, troppo lentamente, di essermi impigliato in un grosso equivoco. I fatti, per un giornalista politico, non parlano mai da soli. O dicono troppo, o dicono troppo poco. Quando dicono troppo, bisogna farli parlare sottovoce, quando dicono troppo poco, bisogna integrarli per renderli al loro significato. Ma la chiarezza in questo lavoro è una virtù ingombrante». Era il 1959. Oggi poco o nulla è cambiato e la virtù è rimasta ingombrante come allora.
Dopo questo lungo ma doveroso preambolo, passiamo al fatto in sé – come dottrina insegna – e diligentemente presentiamo i punti della Legge di stabilità. Si tratta di una manovra da 26,5 miliardi di euro, che accontenta alcuni e – ancora una volta – lascia a bocca asciutta tanti cittadini. Per semplificare, propongo questa sintesi:

Sulla base di questo schema e in considerazione del ricco preambolo, risulta molto più agevole riconsiderare sotto altra luce i suddetti ‘titoli altisonanti’ proposti su media e giornali. Parole come ‘merito’ e ‘equità’ (pronunciate tra l’altro dal primo Ministro), perdono infatti molta delle loro consistenza, in considerazione del fatto che i molti cittadini single, o senza qualifiche specifiche, disoccupati e categorie non contemplate dalla Legge di stabilità, rimarranno ancora una volta nel limbo dell’incertezza: una considerazione, quest’ultima, che si fatica a trovare negli articoli redatti in merito alla manovra.
Prendiamo ad esempio le misure per il cosiddetto ‘sociale’. Come riportato da una nota agenzia di stampa «nella manovra si stanziano 50 milioni in più per fondo non autosufficienza, mentre la dotazione del fondo Povertà viene incrementata con 500 milioni». Bene, dirà qualcuno, ma volendo scavare un poco più a fondo si scopre che questi stanziamenti (comunque pochi) non saranno a disposizione di tutte le fasce più deboli; il ‘fondo di non autosufficienza’, infatti, come specificato nel sito del ministero del Lavoro, fornisce «sostegno a persone con gravissima disabilità e ad anziani non autosufficienti al fine di favorirne una dignitosa permanenza presso il proprio domicilio evitando il rischio di istituzionalizzazione, nonché per garantire, su tutto il territorio nazionale, l’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali».
Lo stesso vale per il ‘fondo povertà’ o Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA), una misura di contrasto alla povertà che – si legge sullo stesso sito – «prevede l’erogazione di un beneficio economico alle famiglie in condizioni economiche disagiate nelle quali almeno un componente sia minorenne oppure sia presente un figlio disabile o una donna in stato di gravidanza accertata». Insomma, aiuti (pochi) sì, ma a tante precise condizioni che escludono un gran numero di cittadini comunque bisognosi di welfare o quantomeno strumenti per potersi dare una dignità. Ritengo inoltre oltraggioso parlare di un’Italia che «va un po’ meglio» quando le cronache raccontano di suicidi e di cittadini italiani costretti a vivere in luoghi di fortuna perché hanno perso il lavoro o i loro risparmi. Anche la cosiddetta ‘no tax area’ è sostanzialmente uno specchio per le allodole e chi rientra in questa fascia ne è ben consapevole; si pensi ad esempio alle accise sui carburanti – che Renzi, tra l’altro, aveva promesso di ridurre – o alle tante altre imposte ‘nascoste’ che tutti, indistintamente, versano senza ricevere alcun beneficio in cambio.
Parlando d’immigrazione, il Governo destinerà risorse pari allo 0,2% del deficit-Pil fuori dal Patto: «I sindaci – ha detto Renzi – che dal 15 ottobre accolgono i migranti, avranno riconosciuto un contributo specifico per migrante che permetterà di dimostrare che lo Stato è riconoscente a quelle comunità di 500 euro a migrante una tantum». Qui non parliamo di spiccioli. Occorre inoltre tenere in considerazione il fatto che il precedente esecutivo Letta (2011), ha varato un’accisa di 4 centesimi al litro che tutti, senza distinzione, versano allo Stato ad ogni rifornimento. Lascio al lettore il piacere di farsi due conti.
Infine, mi preme parlare del canone, che sarà ridotto da 100 a 90 euro l’anno. Secondo Renzi, si tratta di «un ulteriore cammino di discesa di tutto ciò che lo Stato chiede a cittadini». In questo caso il conto lo faccio io, 10 euro in meno valgono la bellezza di 0,027 euro al giorno: una bella sommetta risparmiata, che ben si allinea con «la filosofia – ha detto Renzi – del merito e bisogno; tenere insieme competitività ed equità, dare una chance a chi ci prova e una mano a chi non ce la fa». Sarà. Ma la stima di crescita del Pil all’1% (forse 1,2%) resta del tutto insoddisfacente (una vera ripresa si ha dal 2% in su) e ben testimonia la precaria situazione di questo Paese, che si sta svuotando della linfa vitale (giovani che letteralmente fuggono all’estero) ed è vittima, oltre che di sé stesso, di un esecutivo lontano dalle reali necessità dei cittadini.