I lati controversi del progetto turco GAP
L’impatto sociale
La regione interessata comprende le 9 province vicine ai bacini dei due fiumi mesopotamici di Adıyaman, Batman, Diyarbakır, Gaziantep, Kilis, Mardin, Siirt, Sanlıurfa and Sırnak, un’area vasta oltre 70mila km2 e che ospita più di 7 milioni di persone. Fino ad ora il progetto ha avuto un costo complessivo paragonabile a circa il 10% del PIL turco e le statistiche mostrano grandi progressi nello sviluppo delle infrastrutture e dei trasporti, nonché delle reti di comunicazione; l’energia elettrica generata nel corso di oltre quarant’anni ammonta a quasi 900 miliardi di kilowattora, e il governo turco punta a una produzione di energia annuale di 27 miliardi di kilowattora a progetto completato. Per quanto riguarda invece l’aspetto sociale, il GAP ha sollevato numerose tensioni ed è stato provato che il progetto, lungi dal migliorare il benessere della popolazione locale e portare la pace in una regione tra le più povere ed instabili, ha causato problemi per il numero significativo di sfollati a seguito della costruzione delle dighe che hanno portato in molti casi alla sommersione di interi villaggi, aumentando quindi l’instabilità interna. Gli sfollamenti delle comunità e il conseguente reinsediamento involontario, chiamato così perché agli abitanti dei villaggi inondati non è lasciata altra scelta se non quella di evacuare, hanno rappresentato un problema sin dalla costruzione della diga di Ataturk negli anni ‘90, che con i suoi 170 metri d’altezza e 1820 metri di lunghezza, è la quinta diga più grande del mondo e la seconda per estensione nell’intero Medio Oriente dopo quella di Asswan in Egitto, quando la maggior parte delle persone sfollate non è stata reinsediata adeguatamente. In totale fino ad ora gli sfollati ammontano ad oltre 350.000 persone, la stragrande maggioranza di etnia curda, l’80% dei quali non ha ricevuto alcun risarcimento, né una casa né denaro per soddisfare i propri bisogni materiali, e anche qualora fosse stato erogato il risarcimento è stato ritenuto inadeguato; ciò ha portato ad un generale impoverimento.
L’aumento dei livelli dell’acqua dei fiumi ha cancellato anche importanti siti culturali come quelli del distretto di Hasankeyf, che rappresenta alcuni dei più antichi insediamenti umani risalenti a 12mila anni fa e dal 2019 sommerso dalle acque del Tigri in seguito alla costruzione della diga Ilisu, o Halfeti e Zeugma, a cui è stata riservata la stessa sorte in seguito alla costruzione della diga Birecik sull’Eufrate.
Anche questi ultimi luoghi ricchissimi di storia, in particolare Zeugma, che in greco vuol dire “unione” e che nacque ai tempi di Alessandro Magno per connettere i due insediamenti che sorgevano sulle rive opposte del fiume, acclamata dagli archeologi come la nuova Pompei per la ricchezza dei suoi mosaici, statue e ville antiche, la maggior parte dei quali andati perduti, nonostante gli sforzi congiunti di ricercatori, istituzioni culturali e organizzazioni internazionali per eseguire scavi di salvataggio.
Guerra dell’acqua
Ma le contraddizioni legate al GAP emergono in particolare dalle rivendicazioni della Turchia della piena sovranità sui fiumi transnazionali Tigri ed Eufrate, che nascono in Anatolia ma proseguono il proprio percorso in Siria ed Iraq, e dalla sua riluttanza a cooperare con questi ultimi Stati. Come in molti altri casi, viene facile pensare al Nilo e alle controversie sorte tra i dieci stati africani che beneficiano delle acque del fiume, la Turchia è un esempio del conflitto politico che può sorgere quando progetti di dighe su fiumi trans-frontalieri colpiscono i sistemi fluviali dei paesi vicini, che ne risentono negativamente. Fin dalla costruzione della diga Ataturk sorsero controversie su questioni relative alla distribuzione e qualità dell’acqua, in quanto si prevedeva, non senza lungimiranza, che la deviazione dei fiumi avrebbe messo seriamente a rischio le riserve idriche di Siria e Iraq, già estremamente precarie per via del cambiamento climatico. Sono aumentati i periodi di siccità e negli ultimi anni si sono registrati considerevoli cali di raccolti in paesi dove l’agricoltura è il mezzo primario di sussistenza, e ciò ha giocato un ruolo diretto nel deterioramento delle condizioni socioeconomiche dei due paesi, tra l’altro influenzando notevolmente il flusso migratorio da essi. Nonostante queste questioni richiederebbero cooperazione e reciproco interesse tra gli Stati interessati, Il comportamento della Turchia ha fatto sì che nessun tipo di trattato internazionale sia stato ancora siglato dai tre paesi su come regolare le acque rivierasche, ma solo singoli accordi bilaterali tra Turchia e Iraq e Turchia e Siria, tra l’altro non sempre rispettati. Il progetto GAP è stato infatti molto criticato perché rappresenterebbe una strategia di Ankara per esercitare un maggiore controllo sui paesi confinanti, essendo la Turchia responsabile della gestione del flusso dei fiumi. Ciò è particolarmente vero nei riguardi dell’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est, o anche Rojava, soggetta fin dalla sua nascita ad una forte pressione militare ed economica da tutti i lati, in particolare quello turco.