Alex Saab, storia di un libanese diventato uomo di fiducia del regime venezuelano
È rientrato a Caracas da eroe. Lo scorso 20 dicembre, dopo due anni di custodia cautelare passata negli Stati Uniti in un carcere federale di Miami, Alex Saab ha fatto un’entrata trionfante in Venezuela, dove viene considerato come un diplomatico di alto rango, vittima di un grande “complotto imperialista”. Appena atterrato ha salutato la giovane moglie italiana e le sue bambine, la più piccola nata a Mosca nel 2020, che non ha visto crescere. È stato poi accolto dal Presidente Nicolas Maduro che teneva assolutamente salutare un “uomo coraggioso”. “Dopo 1.280 giorni di sequestro, la verità ha trionfato”, ha dichiarato il leader bolivariano al fianco del suo protetto.
Con sorpresa di tutti, un accordo negoziato con l’intermediazione del Qatar ha permesso ad Alex Saab di ritrovare la libertà, libero anche da ogni procedimento penale da parte della giustizia americana. Il dipartimento di Stato americano ha riconosciuto di aver dovuto prendere una “decisione difficile”. Il senatore repubblicano Marco Rubio l’ha definita una “vergogna”. Nello scambio, dieci cittadini americani, tra i quali sei dipendenti di una compagnia petrolifera ingiustamente arrestati per aver assertivamente ordito un tentativo di colpo di Stato a Caracas nel 2020, sono stati restituiti a Washington. Ma la grazia concessa ad Alex Saab ha innescato un grande malumore tra coloro che in seno all’Amministrazione americana si erano spesi per anni nella caccia di elementi che ne permettessero l’arresto. Il processo che doveva aprirsi in Florida pareva avere salde fondamenta. Rischiava venti anni di prigione.
Dopo la sua cattura ed estradizione, era stato accusato di frode stimata a 350 milioni di dollari, per corruzione e riciclaggio. E questa non era che la punta dell’iceberg di denaro sporco che veicolava Saab per conto del regime di Maduro e dei suoi alleati. Da quando l’ex senatrice colombiana Piedad Cordoba l’ha presentato a Maduro nel 2010, Alex Saab è stato al centro di tutti gli affari finanziari del regime. Dai programmi per la costruzione di case popolari al petrolio, passando per la fornitura di derrate alimentari.
Associato ad Alavaro Pulido, un cacicco del regime vicino al cartello di Los Soles (composto da militari ed ex militari venezuelani presumibilmente, implicati nel traffico di droga), a Saab sono stati concessi in Venezuela, con molta poca trasparenza, importanti appalti pubblici. A colpo di miliardi, è diventato uno dei “boligarchi” (oligarchi colombiani) più influenti. È diventato indispensabile per Maduro, il suo uomo di fiducia, soprattutto quando gli Stati Uniti nel 2017 hanno posto il Venezuela sotto sanzioni. “È una sorta di ‘fixer’. Ha una soluzione per tutti i problemi, cosa molto utile in un Paese in crisi che ne ha molti”, ha affermato Gerardo Reyes Copello, importante giornalista investigativo colombiano, Premio Pulitzer nel 1998 e autore di un recente libro-inchiesta su Alex Saab. Quando c’era carenza di latte, trovava il latte. Stessa cosa per petrolio, oro o contanti.
Nel 2016 Saab è a capo di Trenaco, piccola società senza nessuna esperienza che firma un contratto di 4,5 miliardi di dollari con la compagnia petrolifera nazionale venezuelana, PDVSA. Gli investigatori specialisti in corruzione raramente hanno visto un uomo con così tanto potere negli schemi di corruzione del Venezuela. Si parla di un uomo di nazionalità straniera che nasce come venditore di tessuti nel suo paese e che si ritrova al centro dei negoziati tra Stati a più alto livello disponendo dell’immunità diplomatica. Lo scandalo più grande che coinvolge Saab scoppia nel 2017 con il Clap, il programma nazionale di aiuti alimentari grazie al quale 6 milioni di famiglie venezuelane hanno ricevuto una cassa di alimenti fondamentali: olio, zucchero, farina, pasta, riso. Un aiuto vitale per molti abitanti di un Paese in profonda crisi. Secondo il dipartimento del Tesoro americano, il Clap ha permesso a Saab di sottrarre una fortuna. Nel 2019 Steven Mnuchin, allora segretario al Tesoro, afferma che il cibo veniva usato come arma di controllo sociale, per ricompensare il sostegno politico e punire l’opposizione, il tutto intascando centinaia di milioni di dollari grazie a operazioni fraudolente.
Come ha rilevato l’inchiesta dei giornalisti venezuelani del sito Armando.info (fondato nel 2014 e partner del Consortium of Investigative Journalists, hanno tra l’altro collaborato al progetto Panama Papers), le fatture degli alimenti importati dal Messico venivano gonfiate e il cibo fornito di cattiva qualità, cosa che permetteva di alzare notevolmente i margini di guadagno. Un esempio: ci volevano 41 bicchieri di latte in polvere del Clap per ottenere il valore nutrizionale normale di un bicchiere di latte. Anche l’Agenzia antidroga americana (DEA) si è interessata ad Alex Saab per via dei suoi legami con Walid Makled, un ricco barone della droga venezuelano, anche lui di origine siriana-libanese. Per l’esperto americano Matthew Levitt (Georgetown University’s Center for Security Studies – CSS), Saab sarebbe addirittura uno dei riciclatori di Hezbollah. È cresciuto in una famiglia dove veniva venerato il movimento sciita libanese. Pare che il padre di Alex, “Don Luis” Saab, scrivesse addirittura poemi in suo onore.
L’ascesa di Alex Saab era cominciata a Barranquilla, sua città di origine, situata sulla costa colombiana. Piccolo imprenditore tessile, il figlio di immigrati libanesi non appartiene all’alta società locale, ma sembra essere pronto a tutto per entrarci. Fa fortuna fabbricando asciugamani. Diventato milionario, sarà per lui fondamentale farsi costruire una delle ville più lussuose del quartiere esclusivo di Riomar, dove vivono i grandi baroni della droga, degli affari e della politica. Quando la sua giovane moglie italiana, amante del tennis, si è vista rifiutare l’adesione al selettivo Barranquilla Country Club, Saab gli ha costruito un campo in terra rossa sul tetto della proprietà.
Oggi la villa è invasa dalle erbacce e posta sotto sequestro dalla giustizia colombiana. È stata sequestrata nel 2018 insieme ad altre sei sue proprietà colombiane. La magistratura sospetta che la società immobiliare creata per l’occasione sia servita a riciclare fondi illeciti. L’accusa si basava soprattutto sulla facilità con la quale Alex Saab faceva transitare i proventi dei suoi affari attraverso conti off shore e dei paradisi fiscali. Come altri, era ricorso alla società di Mossack Fonseca per nascondere i suoi guadagni. Le sue società avevano sede in Messico, in Turchia, a Hong Kong, negli Emirati Arabi Uniti e perfino negli Stati Uniti. Quando la polizia colombiana si è presentata a casa Saab per arrestarlo, nel settembre del 2018, non c’era già più nessuno. Un poliziotto corrotto lo aveva avvisato il giorno prima. Saab con tutta la famiglia in Venezuela dove Maduro gli offre l’immunità.
Questo non impedisce al fuggitivo, accusato di frode anche in Ecuador e Messico, di continuare a viaggiare. Alla fine del 2018 si trova a Parigi. È nel 2019 in Italia che le forze dell’ordine riescono a mettere le mani su lussuose proprietà intestate alla famiglia di sua moglie e su un conto bancario di 1,8 milioni di euro. I quattro passaporti di Alex Saab, colombiano, libanese, venezuelano così come un passaporto diplomatico rilasciato da Antigua, gli permettono di oltrepassare le frontiere e sfidare l’Interpol.
Isolato e indebolito dalle sanzioni, il regime di Maduro utilizza le reti dell’oligarca libano-colombiano per sollecitare l’aiuto dei regimi “amici”, Russia, Iran, Turchia. Grazie al suo programma “oro in cambio di cibo”, 73 tonnellate di oro estratte dall’Amazzonia o vendute dalla banca centrale partono verso Istanbul, Dubai o Mosca per essere riciclate. Dalla Turchia ripartono, in direzione Caracas, cargo pieni di pasta, tonno, olio, zucchero. Ogni volta, Alex Saab, le sue società fantasma e i suoi prestanome servono come intermediari, intascando enormi profitti. L’8 marzo del 2020, l’aereo privato sul quale viaggia Alex Saab si trova a Teheran, per “negoziare un contratto con l’Iran per l’invio in Venezuela di numerosi tank di carburante”, affermano gli investigatori di Armando.info. Cinque navi iraniane cariche di benzina navigheranno nel maggio successivo verso il Venezuela. Le autorità americane affermeranno in seguito aver posto sotto sequestro altri quattro petroliere.
Il 12 giugno Saab torna in Iran. Il lungo tragitto tra Caracas e Teheran esige diversi scali per il suo jet. L’apparecchio, immatricolato a San Marino e di proprietà di un ex ufficiale dell’aeronautica venezuelana, atterra a Capo Verde. Ma questa volta lo scalo non va come previsto.
Quando il portellone si apre, la polizia lo pende in custodia. Da dietro le quinte gli agenti dell’FBI e della DEA hanno preparato l’operazione. Washington chiede la sua estradizione. Caracas lo nomina in extremis ambasciatore presso l’Unione Africana per bloccare il procedimento. Russia e Iran moltiplicano la pressione diplomatica sul piccolo Stato di Capo Verde. Ma la Corte suprema del Paese conferma la sua estradizione verso gli Stati Uniti dove Saab entrerà in carcere nell’ottobre del 2020. Dal suo rientro a Caracas, il “diplomatico” Saab ha ripreso le sue attività al servizio del suo protettore. A capo del “centro internazionale di investimenti produttivi” riceve ambasciatori e ufficiali e vigila sugli investimenti nell’industria, turismo, miniere, agricoltura e pesca.