Iveco nelle mani di Tata Motors: un passaggio di testimone da 3,8 miliardi senza lacrime né serrande abbassate

Torino, mattina presto. Nel quartier generale di Iveco, i corridoi sono insolitamente silenziosi. Da giorni circolano voci insistenti: “Arrivano gli indiani di Tata”. E oggi, finalmente, la notizia è ufficiale. Lo storico marchio italiano dei camion, degli autobus e dei furgoni cambierà bandiera, entrando nella galassia di uno dei colossi mondiali dell’automotive.
L’annuncio è arrivato con un comunicato secco: Tata Motors acquisirà Iveco per 3,8 miliardi di euro in contanti. Una cifra enorme, che racconta da sola il peso dell’operazione. Ma dentro queste righe formali, per i 35 mila lavoratori del gruppo (13 mila solo in Italia), c’era una frase che ha tolto un peso dal cuore: nessuno perderà il lavoro, nessuno stabilimento sarà chiuso.
Non solo un’azienda, ma un pezzo della difesa italiana
Per capire la portata della notizia, basta ricordare cosa rappresenta Iveco. Non solo un’azienda, ma un pezzo di storia industriale italiana: camion che hanno attraversato l’Europa, autobus che hanno portato a scuola generazioni di ragazzi, mezzi che hanno fatto parte del paesaggio urbano e rurale del Paese.
Tata Motors, dal canto suo, è un gigante nato in India, già proprietario di marchi iconici come Jaguar e Land Rover. Con questa mossa, Per molti, resta il nodo emotivo: vedere un marchio che ha sempre avuto radici italiane passare a una proprietà straniera non è semplice. Ma la storia dell’industria è fatta anche di alleanze e cambi di mano. E qui, la sensazione è che Iveco non perda la propria identità: la sede resterà a Torino, gli stabilimenti continueranno a produrre, e la forza lavoro sarà preservata.
I prossimi mesi saranno decisivi: l’OPA di Tata Motors, a 14,1 euro per azione, si concluderà entro la prima metà del 2026, quando l’operazione sarà completata. Nel frattempo, Iveco continuerà a fare ciò che ha sempre fatto: costruire mezzi robusti, affidabili, pronti a macinare chilometri. Solo che, da domani, lo farà con un passaporto un po’ più internazionale.
Se le promesse saranno mantenute, questa potrebbe diventare una delle acquisizioni più virtuose degli ultimi anni: niente esuberi, niente chiusure, più investimenti e una nuova spinta verso l’innovazione. E allora, forse, la foto di oggi, quella di manager italiani e indiani che si stringono la mano davanti alle telecamere, potrà essere ricordata non come un addio, ma come l’inizio di un viaggio comune.mette un piede pesante in Europa nel settore dei veicoli commerciali. L’obiettivo? Creare un campione globale da 540 mila veicoli venduti l’anno e 22 miliardi di fatturato complessivo.
C’era però un punto sensibile. Iveco non produce solo camion civili: ha anche un’importante divisione Difesa, quella dei veicoli militari IDV e dei mezzi pesanti Astra. Per ragioni strategiche, il governo italiano ha preteso che questa parte restasse in mani italiane. Così, in parallelo, Leonardo, il colosso nazionale dell’aerospazio e della difesa, ha acquistato quel ramo per 1,7 miliardi di euro. Un’operazione voluta e seguita passo passo da Palazzo Chigi.
Le rassicurazioni dei vertici
In conferenza stampa, i vertici di Tata Motors hanno tenuto a sottolinearlo: “Non verrà chiuso nessun impianto, non ci saranno tagli. Investiremo nelle persone, nella formazione, nello sviluppo delle competenze”.
Parole che hanno trovato l’approvazione del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che ha promesso vigilanza attenta: “Garantiremo la tutela di occupazione, know-how e filiera produttiva”.
Le visioni dei sindacati
Fuori dagli stabilimenti, tra i lavoratori, i sentimenti si mescolano. Sollievo per la promessa di continuità, ma anche cautela: “Le parole vanno bene, ma le garanzie devono restare nero su bianco”, commenta un delegato sindacale della Fiom-Cgil, sottolineando che i 13 mila dipendenti italiani meritano certezze a lungo termine.
UGL Metalmeccanici, invece, chiede che gli impegni siano accompagnati da un piano industriale chiaro: “Non possiamo permettere che questa sia una semplice operazione finanziaria”.
Industriali e analisti sono concordi: l’unione tra Tata Motors e Iveco funziona perché non ci sono sovrapposizioni territoriali o produttive. Gli indiani portano un mercato enorme in Asia e in Africa; gli italiani hanno una rete consolidata in Europa e nelle Americhe. Un puzzle che si incastra senza conflitti, con la possibilità di condividere tecnologie, in particolare sui veicoli a emissioni zero.
Le prospettive dell’operazione
Per molti, resta il nodo emotivo: vedere un marchio che ha sempre avuto radici italiane passare a una proprietà straniera non è semplice. Ma la storia dell’industria è fatta anche di alleanze e cambi di mano. E qui, la sensazione è che Iveco non perda la propria identità: la sede resterà a Torino, gli stabilimenti continueranno a produrre, e la forza lavoro sarà preservata.
I prossimi mesi saranno decisivi: l’OPA di Tata Motors, a 14,1 euro per azione, si concluderà entro la prima metà del 2026, quando l’operazione sarà completata. Nel frattempo, Iveco continuerà a fare ciò che ha sempre fatto: costruire mezzi robusti, affidabili, pronti a macinare chilometri. Solo che, da domani, lo farà con un passaporto un po’ più internazionale.
Se le promesse saranno mantenute, questa potrebbe diventare una delle acquisizioni più virtuose degli ultimi anni: niente esuberi, niente chiusure, più investimenti e una nuova spinta verso l’innovazione. E allora, forse, la foto di oggi, quella di manager italiani e indiani che si stringono la mano davanti alle telecamere, potrà essere ricordata non come un addio, ma come l’inizio di un viaggio comune.