Cina traccia la rotta per la mobilità sostenibile, pericolo per i capisaldi del settore

Stime convergenti monitorano che Pechino ha introdotto la vendita di 12 milioni di unità di veicoli elettrici, circa il doppio dei 5,9 milioni immesse nel mercato del 2022.
Il Financial Times ha infatti previsto un boom del 20%, che interesserà l’intera annata 2025.
La Cina aveva manifestato in passato l’intenzione di bilanciare il mercato delle automobili elettriche e a motore termico con un rapporto di 50-50, entro il 2035, ma Pechino ha bruciato i tempi e ci è riuscita con 10 anni di anticipo.
Valutazioni antitetiche indicano un calo di interesse delle motorizzazioni tradizionali, atteso un impulso ribassista che porterà un valore negativo del 10%, una contrazione di quasi il 30% rispetto al 2022.
Un passo importante per l’Oriente, dove Pechino traccia una rotta verso un futuro di mobilità ecosostenibile.
Il primato globale è attualmente detenuto dalla Norvegia, la cui quota di commercio delle macchine elettriche, infatti, tocca il 90%.
Sulle fondamenta di queste riuscita cinese vi è un attenta analisi da parte del direttore della ricerca sulle fonti rinnovabili di Wood Mackenzie (fornitore globale di data Analysis su transizioni energetiche), questa forte tecnologizzazione è infatti merito dell’abilità, con la quale, sono riusciti a industrializzare e quindi garantirsi, il mercato delle forniture per le loro batterie e per le loro e-car.
Motivo di preoccupazione a breve termine sarà quando si supererà il BEP (punto di pareggio) in questo caso tra domanda e offerta interne: il violento switch dell’industria da termico tradizionale a elettrico, che si sta compiendo con output di produzione assolutamente efficienti, potrebbe portare un’invasione del mercato estero, in primis quello europeo, non sono infatti pochi i nuovi modelli che con qualità costruttive soddisfacenti e prezzi competitivi stanno approdando come surrogati.
La scalabilità di produzione cinese, che permette con particolare facilità una produzione di massa, accostata a prezzi irrisori e tecnologie innovative potrebbe essere la chiave di mercato che minaccerà anche i giganti tedeschi e giapponesi.
Anche gli Stati Uniti sono in difficoltà, Trump e l’UE promettono dazi aggiuntivi (fino al 35,5% nel caso dell’UE), la linea politica occidentale sta assumendo i connotati di un marcato protezionismo, che probabilmente non basterà vista l’emissione di maxi-sussidi da parte di Pechino.
La battaglia economica che questi protagonisti stanno ingaggiando non risparmia, soprattutto, personalità come Elon Musk, fortemente minacciate dal mercato concorrenziale, BYD ha infatti recentemente strappato il primato dell’elettrico alla ben nota Tesla.
La notizia lascia spunti per varie rielaborazioni personali, è, ad esempio, lecito chiedersi quanto perdurerà la moda dell’elettrico, non è un mistero la recente introduzione di nuovi meccanismi di propulsione all’idrogeno, i quali non lasciano strascichi ambientali come per la produzione o lo smaltimento delle batterie elettriche, fondamentali per le auto della “nuova frontiera”, ma che rilasciano scarti tossici di litio e cobalto nell’ambiente.
Siccome un ulteriore transizione sarebbe un costo economico e temporale non ininfluente è anche doveroso ricordare come la Cina sia il primo paese inquinante, da sola rappresenta il 30% dell’emissioni gas serra globali, sorge spontanea la domanda se a guidare questa conversione all’elettrico vi sia solo l’intento economico.