Tim diventa americana: la storia con il fondo finanziario Kkr viene da lontano
Negli ultimi anni, la questione della possibile acquisizione di Tim da parte del fondo di investimento statunitense Kohlberg Kravis Roberts (Kkr) ha attirato l’attenzione di molti esperti del settore. È sotto gli occhi di tutti che l’azienda italiana di telecomunicazioni ha affrontato una serie di pressioni (su tutte la pesante situazione debitoria post Elliott).
Già a novembre 2021, Kkr aveva formalizzato una proposta non vincolante per acquisire Tim, valutando la società intorno ai 10.8 miliardi di euro. La proposta prevedeva una valutazione di circa 50 centesimi per azione, con un premio significativo rispetto al prezzo di mercato di allora. Kkr non era nuova a questo genere di acquisizioni, avendo investito nel 2020 in FiberCop, la rete secondaria di Tim.
Al tempo, la proposta di Kkr aveva innescato un acceso dibattito in Italia. Da un lato, alcuni analisti e azionisti avevano visto l’offerta come un’opportunità per risolvere i problemi finanziari di Tim e rilanciare l’azienda a partire dalla sua periferia, dall’altro lato, ci sono state preoccupazioni riguardo alla sovranità nazionale e alla protezione di un’infrastruttura critica come quella delle telecomunicazioni.
Due giorni fa è arrivata l’ufficialità: Tim è passata al consorzio Netco – che, come socio di maggioranza, ha proprio Kkr – e, così facendo, vede alleggerirsi il debito che ammontava a 25.6 miliardi, che a fine 2024 scenderà a 7.5 miliardi (con ulteriori aiuti previsti dagli azionisti di minoranza come il ministero dell’Economia e delle Finanze italiano (16%) e il fondo F2i (11.2%), il primo investitore privato specializzato in infrastrutture in Italia).
La vendita porta anche ad una riduzione effettiva di 13.8 miliardi e gli analisti hanno calcolato 1.5 miliardi tra oneri finanziari, tasse, net working capital (ovvero le risorse per le attività come i prepensionamenti e per Dazn) e il pagamento dei dividendi di Telecom Brasile.
Restano aperti, però, alcuni dossier, il più importante quello della strategica Sparkle per le dorsali marine in fibra ottica. Servirà a stretto giro un colpo d’ala nella progettualità e nell’intervento del pubblico sui nodi strategici, affermare la forza del movimento dei lavoratori da proiettare in avanti, perché non basta più evocare un indefinito “green” e un imperscrutabile “digitale” in un Paese al centro della contesa europea e che accusa da tempo limiti enormi dal punto di vista della strategia industriale.