Meloni si esprime sulle privatizzazioni: “Prevediamo 20 miliardi in 3 anni”. Ferrovie nel dossier

Una strada ardua quella che la Premier Giorgia Meloni vuole intraprendere, dove le privatizzazioni sono la nuova fermata a cui giungere. Un processo che ha come obiettivo quello di cedere 20 miliardi di asset in 3 anni, ossia entro il 2026, realizzando un vero contributo per il ribasso del debito pubblico.
In realtà ad oggi ancora non è stato presentato un piano strategico definitivo ed è proprio per questo che il primo passo può essere solamente partire dalle società già precedentemente quotate. Un operato già iniziato con il governo Gentiloni e la quotazione in Borsa di Poste Italiane, un primo step per poi passare all’Eni, che prima di essere inserita nel mercato avrebbe dovuto realizzare delle azioni di buyback, per poter rendere più elevate le azioni dei soci e dare, così, la possibilità al Mef di offrire nuovi titoli sul mercato. Giorgia Meloni riprende da dove si era lasciato, anche se bisogna sempre tener conto che ad oggi le azioni di Poste ed Eni sono in ribasso: le Poste con un valore intorno ai 10 euro, Eni 15.
Un piano su cui lavorare: “Privatizzare non significa regalare miliardi a un imprenditore”
Un piano da elaborare e articolare nel dettaglio, dove non tutte le aziende sono contemplate per l’inserimento nel mercato. Il Presidente del consiglio ribadisce come non si tratti di un “regalo” agli imprenditori o amici, ma della necessità che lo Stato intervenga per evitare che il debito pubblico possa subire ulteriori innalzamenti.
Negli ultimi anni il bilancio italiano ha visto dei miglioramenti, ma le stime evidenziano come, senza nessun tipo di mediazione, si possa cadere in un nuovo vortice in ribasso.
Un dossier preciso da articolare, che in caso di realizzazione, comporterebbe una risalita del rapporto debito/PIL giungendo ad un 140,6%, contribuendo all’economia italiana.
Le società dei 20 miliardi
Si stima una cifra di 20 miliardi entro il 2026, un ammontare derivante da diverse aziende che saranno quotate. La prima a spiccare è la Banca dei Montepaschi di Siena, nazionalizzata nel 2017 e pronta a rientrare sul mercato contribuendo al 25% della valutazione presentata: 920 milioni sono certi, 1,7 miliardi sono un’ipotetica aggiunta.
Per quanto riguarda Poste ed Eni si pensa ancora di cedere alcune quote, una cessione per la prima del 29%, corrispondente a 4 miliardi, mentre per l’Eni del 4% giungendo ad un valore di 2 miliardi.
Il contributo più cospicuo viene riconosciuto, però, alle Ferrovie italiane che presenterebbero una partecipazione del 49%, anche se ora non vi è alcuna quotazione.
Non tutte le aziende sono per il mercato. Problemi per Enel, Enav e Leonardo
Non tutte le società possono essere oggetto di privatizzazione e non soltanto per questioni di partecipate pubbliche, ma anche per le loro stesse quote.
E’ il caso dell’Enel che ha visto scendere la sua quotazione sotto il livello minimo, ovvero un 23,5%, che rende difficoltosa la messa sul mercato, possibile solo con un acquisto sul 100% del capitale, ossia il 25% dato che una discesa ulteriore porrebbe la società a rischio.
Enav e Leonardo sono da escludere anch’esse, nonostante i motivi siano differenti. Enav è un titolo ad oggi al di sotto dei minimi storici con un valore di 3,3 euro che pongono l’azienda ad un limite di sussistenza.
Per quanto riguarda Leonardo, invece, le sue azioni hanno visto un innalzamento, anche se quotarla in borsa genererebbe un ricavo di qualche centinaia di euro, non comparabili, evidentemente, a società come Poste o Eni. Inoltre la Premier sottolinea l’importanza della difesa, settore in cui opera Leonardo, e tiene al fatto che questo rimanga nelle mani dello Stato.
La scelta delle aziende da porre sul mercato deve essere prudente e potenziale per un profitto, implicando non soltanto un’analisi rispetto al valore dei titoli in Borsa, ma anche al funzionamento e alle esternalità positive che essa provoca. Vi possono essere casi inversi, dove è invece una nazionalizzazione ad essere maggiormente proficua, come il caso dell’ex Ilva, che recentemente si è trovata ad essere oggetto di discussione per un nuovo iter di azione.