Puntiamo a un fisco per lo sviluppo

La detassazione riferibile alla ricerca e sviluppo, alla patent box, oppure a industria 4.0 attraverso i super ammortamenti, non potrà e non dovrà più essere ricondotta alla cosiddetta fiscalità di vantaggio ma a vera e propria fiscalità di sviluppo da cui le aziende virtuose non possono e non potranno prescindere.
Per questo molta attenzione dovrebbe essere dedicata dal legislatore a come rappresentare tali istituti, senza stravolgerne quindi gli obiettivi e le procedure per condividerli e coordinarli anche con gli altri Stati membri dell’Ue.
Non si può inoltre non tenere conto che gli obiettivi di sostenibilità di lungo termine potranno essere raggiunti solo ed esclusivamente se in azienda si verificano le condizioni per poter investire in innovazione e sviluppo in modo coerente con il perseguimento degli obiettivi generali ESG (ambientali, sociali e di governance).
Tali condizioni, senza fiscalità di sviluppo, intesa quale riduzione d’imposta per generare capitale da destinare appunto al perseguimento degli obiettivi ESG, difficilmente si verificheranno e pertanto difficilmente le aspettative dei Governi circa l’impegno per il loro raggiungimento saranno soddisfatte.
Limitare o gestire in modo poco lungimirante la fiscalità di sviluppo nell’intento di difendere le potenziali perdite di gettito dello Stato corrisponderebbe a una visione del tutto miope circa il ruolo delle aziende del nostro tessuto economico, dalle piccole alle grandi.
E un approccio “sereno” verso la fiscalità di sviluppo potrebbe ancora di più incentivare le varie istituzioni e associazioni di categoria a diffondere la cultura del pagamento delle imposte, evitando l’elusione e l’evasione fiscale anche internazionale, posto che il maggior gettito che ne deriverebbe dovrebbe proprio avere anche il ruolo sociale di andare a sovvenzionare le imprese virtuose.