Informazione e comunicazione nell’era digitale. Un manuale che piace anche alle istituzioni.
Arriva alla sua nona edizione il “MANUALE DI DIRITTO DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE. I media nell’era digitale e le nuove tutele della persona”, scritto da Ruben Razzante e pubblicato da Wolters Kluwer. La sua presentazione a Roma lo scorso 14 giugno presso lo studio legale internazionale Curtis, Mallet-Prevost, Colt & Mosle LLP ha visto la partecipazione di una significativa rappresentanza di addetti ai lavori, dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all’informazione e all’editoria, Giuseppe Moles, al Presidente dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti, Carlo Bartoli, al Capo degli affari istituzionali di Google Italia, Diego Ciulli, coordinati dall’Avv. Daniela Della Rosa, Partner dello Studio Legale. Teste e interessi diversi riuniti attorno a un tavolo per immaginare insieme soluzioni più che elencare, una volta di più, le criticità di un settore, quello editoriale, in profonda crisi. E non da ora.
Prof. Razzante, questo testo ha, si può dire, scandito la sua carriera. La prima edizione del 2002 si riferiva ai soli mezzi di informazione tradizionali mentre le ultime tre, e questa in particolare, virano decisamente versi i temi della Rete. Perché?
Fin dall’inizio con questo testo ho voluto semplicemente offrire una cassetta degli attrezzi quanto più possibile completa, attingendo ad almeno quattro aree: la normativa, la giurisprudenza, la deontologia e la dottrina, intesa come insieme di saperi. Questo è sempre stato il filo rosso che mi ha guidato nella stesura del manuale, in tutte le sue edizioni. Certamente oggi il mondo del giornalismo deve confrontarsi principalmente con la Rete e i suoi operatori, se vuole mantenere un ruolo centrale nella nuova infosfera.
Durante la presentazione del libro il Sottosegretario Moles ha fatto un’affermazione decisa. Riscontrando come lo sviluppo tecnologico sia molto spesso più veloce delle norme che dovrebbero regolarlo, ha tuttavia parlato di industria culturale come industria “di interesse nazionale”, che, come tale, deve essere oggetto di tutela giuridica sì, ma anche politica. Acqua al Suo mulino, no?
Affermazione più che condivisibile e del resto nell’esercizio della sua delega il Sottosegretario ha dimostrato di aver fatto seguire alle parole i fatti con i sostegni economici di rilievo messi in campo nell’ultimo anno per l’intero settore editoriale, con l’interesse alla tutela dell’informazione locale, che gli sta particolarmente a cuore, con il contributo offerto all’affermazione di principi (v. quello del diritto connesso in capo agli editori) attraverso le direttive europee prima e gli emanandi regolamenti attuativi poi, tra cui quello dell’Agcom a breve sottoposto a valutazione tecnica. Ma se devo dire su cosa il Sottosegretario nel suo intervento mi trovi più d’accordo è sulla necessità, per la soluzione dell’impasse del settore, del contributo di tutti gli stakeholders in difesa della buona informazione quale pilastro della nostra come di qualunque democrazia liberale, con una strategia ben precisa che miri a re-investire in questo settore. Il modo migliore per combattere una delle criticità di oggi, la disinformazione, attraverso la buona informazione.
Anche il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Bartoli, si è detto certo che l’industria culturale sarà il terreno su cui si giocherà il benessere futuro della nostra società. Ma lato giornalisti è forse necessario si faccia un po’ di autocritica? La Reuters ha pubblicato proprio oggi il Digital News Report 2022 che rileva come, finito l’effetto del Covid che ha spinto al consumo di news affidabili, cala la fiducia delle persone per le notizie: é al 42%, mentre lo scorso anno si attestava al 44%.
Intanto non bisogna mai generalizzare perché, come ha ricordato il Presidente, se è vero che tra le migliaia di giornalisti professionisti iscritti, molti dei quali, va ricordato, non ancora pagati il giusto, che svolgono bene e con coscienza il proprio lavoro, ci sono anche quelli che sbagliano o che intenzionalmente producono disinformazione, questa è tuttavia ancora una minoranza. Contro la quale l’Ordine da solo può far poco essendo materia giudiziaria colpita dalle generali lungaggini dei gradi di giudizio nel nostro Paese. Indubbiamente anche la professione del giornalista è stata investita dallo tsunami tecnologico e quindi appunto credo che accanto alla coscienza, una migliore conoscenza degli strumenti e delle norme possa aiutare anche chi scriva per mestiere a sbagliare meno e ad andare maggiormente incontro alla richiesta di “verità” dei cittadini.
Il tema delle fake news non è certo nuovo, tuttavia la recente guerra in seno all’Europa ha acuito il problema. Le norme possono risolverlo?
Come ha ricordato bene Diego Ciulli di Google, l’algoritmo, per quanto riguarda l’informazione online, ad esempio, è già in grado di determinare se una fonte è affidabile o meno. Ma certo non di valutare l’affermazione scritta dal giornalista su quella fonte affidabile. La verità, quindi, è come sempre nel mezzo. Bene l’autoregolazione, bene, nell’online, il ricorso a strumenti tecnologi selettivi (con le dovute attenzioni a non scadere in una vera e propria censura, come ha ammonito Moles), bene le norme che tutelano la economicità delle imprese editrici attraverso il riconoscimento del diritto d’autore e di un equo compenso per la loro produzione, norme che contribuiscono a garantire la sopravvivenza di più aziende editoriali e quindi il pluralismo, ma resta da perseguire, come argine alle fake news, una informazione prodotta professionalmente, ancorata a dati di realtà e filtrata dagli elementi dell’etica e della deontologia. E il cittadino deve essere educato a cercare questo tipo di informazione. Gli strumenti, se vuole, già li avrebbe. Certamente è un lavoro in più, ma essenziale. Come ha detto Moles, inoltre, è meglio parlare di “supporto” normativo, più che di intervento normativo. Sembra la stessa cosa, ma non lo è.
Le grandi piattaforme online, come Google, sembrano pronte a firmare una versione aggiornata del codice anti disinformazione dell’Ue, come si legge sul Financial Times che parla di “ultimo sforzo per contenere il potere delle società di Big Tech, con l’Ue in prima linea in una spinta normativa globale sulle piattaforme Internet che sono diventate cruciali per il modo in cui miliardi di persone ricevono notizie e informazioni”. Un bel passo avanti? Tra l’altro sembra che dentro vi si trovino molte suggestioni dalle buone pratiche messe in atto in Italia.
Aspetto di vedere la versione definitiva di questo codice anti-fake news, perché lo strumento dell’autodisciplina può rivelarsi insufficiente se non ampiamente condiviso e fatto rispettare. Sicuramente l’Ue ha dimostrato di avere molto a cuore il tema delle fake news e delle azioni di contrasto, fin dal settembre 2018, quando produsse e fece sottoscrivere ai colossi del web una prima versione del codice, poi aggiornata nel maggio 2021, anche in ragione della pandemia.
Nel dibattito scaturito dalla presentazione del volume, Diego Ciulli di Google ha ricordato i tre temi che hanno forti implicazioni sulla verità dell’informazione: quello della disinformazione sopra accennato, quello del diritto all’oblio e quello del diritto d’autore. Il primo è un tema complesso che certamente non è possibile affrontare solo in maniera regolatoria, ma che piuttosto si avvantaggerebbe di una collaborazione fattiva, come quella messa in atto durante il lockdown, tra Google e le fonti di informazione certificata. A che punto siamo invece con il riconoscimento del diritto all’oblio e del diritto d’autore?
Con il riconoscimento, in Europa, del diritto connesso in favore degli editori di giornali sugli utilizzi online dei loro contenuti editoriali da parte delle piattaforme di condivisione dei contenuti e delle imprese di media monitoring e rassegne stampa, è sicuramente apprezzabile l’impianto generale della normativa di recepimento in Italia della Direttiva, teso a garantire l’effettività dell’esercizio del diritto riconosciuto dalla direttiva europea, la quale demanda ai singoli Stati membri proprio il compito di assicurarne in concreto l’applicazione. Si è affermato il principio, innanzitutto. E si è aperta la strada ad accordi tra Google e gli editori per il riconoscimento di un equo compenso, questo si di più difficile determinazione, accordi che possono muoversi lungo una strada tracciata con una formulazione normativa che impone l’obbligo di una negoziazione in buona fede. Per quanto riguarda il diritto all’oblio, invece, la mia posizione è questa: un conto è la richiesta di cancellazione che perviene ad un motore di ricerca, un conto è quella indirizzata alle testate di informazione. Non è immaginabile e non è giusto che dall’archivio di un giornale sia cancellata tout court tutta una vicenda giudiziaria, altrimenti si rischia l’inintelligibilità della ricostruzione di qualunque vicenda. Le testate hanno l’obbligo, questo sì, dell’aggiornamento, nel caso della narrazione di una vicenda giudiziaria dall’inizio fino alla sua conclusione.
Me se la nostra società, come è detto da più parti, è la società del caos informativo, come si può gestire questo caos? Nessuna forma di regolazione che si avvicini alla censura è la strada. Il digitale è uno strumento e come tale può essere usato bene o male. È una questione, come ha detto anche Moles, di reputazione e di collaborazione. I social, ad esempio, sono aziende private che come tali perseguono il profitto, ma se la loro reputazione decade a decadere saranno anche i profitti, mentre alle istituzioni è dato il compito di tutelare tanto il diritto di informare quanto quello di essere informati. Ben vengano campagne istituzionali per un uso consapevole del digitale, contro la disinformazione, ben vengano tavoli partecipati come quello di oggi su punti difficili come quello dell’equo compenso e della disinformazione. Se l’apporto della tecnologia è ormai insostituibile lo è altrettanto, ne sono convinto, quello dell’informazione professionale, che se è entrato in crisi lo è stato anche per ragioni di natura giuridica e di delicato equilibrio tra i diritti. Molto è cambiato in questi ultimi anni a livello di privacy, di copyright, di diffamazione on-line, di tutela dei diritti della persona Rete. Ambiti complessi. Spero con le oltre 500 pagine di questa edizione aggiornata del mio Manuale di aver offerto un concreto contributo ad una migliore conoscenza delle nuove modalità di interazione tra soggetti e dei meccanismi attuali di produzione e fruizione deli contenuti. Di quelli informativi, certo, ma di tutti i contenuti, più in generale. Verso un auspicato obiettivo: realizzare un virtuoso bilanciamento dei diritti e tenere sotto controllo, se possibile, il livello di tossicità dello spazio digitale.