Hendrik Christian Andersen ed una indimenticabile fusione di corpi
Lo scultore e pittore Hendrik Christian Andersen nacque a Bergen in Norvegia il 17 aprile 1872, ma emigrò ben presto a Newport con la famiglia, motivo per cui egli si è sempre considerato statunitense. Partito per un viaggio formativo nei primi anni novanta dell’800, si stabilisce definitivamente a Roma dal 1897, città che lo accolse per oltre quarant’anni. Il 19 dicembre 1940, il giorno della sua morte, lasciò allo Stato italiano la sua casa-studio di Via Mancini insieme a tutto ciò che essa era contenuto, dalle opere agli arredi, dai documenti d’archivio al materiale fotografico.
Il museo è ospitato nell’edificio al numero 20 di Via Pasquale Stanislao Mancini, risalente agli anni tra il 1922 e il 1925 su progetto dello stesso Andersen che lo elaborò secondo lo stile della “palazzina con annesso studio di scultura”. L’incantevole palazzo attira l’attenzione innanzitutto per il colore tenue e rosato, e poi per i motivi simbolici che alludono probabilmente ai legami affettivi dell’artista, come le teste sulla facciata che ritraggono i familiari.
Al piano terra vi sono i due ambienti principali del museo, la Galleria, dal pavimento veneziano, dal soffitto a cassettoni in stucco con ampi finestroni, era una sala di rappresentanza dove Andersen mostrava ai visitatori le opere finite o illustrate e in cui mettevo in mostra il progetto della “Città mondiale” attraverso i numerosi disegni appesi nelle cornici di noci.
L’altro ambiente fondamentale del piano terra è lo Studio, un atelier vero e proprio destinato a laboratorio per l’ideazione delle opere che venivano realizzate, dal trasferimento dalla bozza al dimensionamento alla modellazione nei forni. Il soffitto è composto da un lucernario che insiste sulla terrazza del I piano ed un pavimento grezzo in lastre di cemento. Una curiosità: la porta dello studio si apriva solo per l’ingresso delle sculture.
Nella galleria è situata la riproduzione kitsch dello scrittore Henry James e di Andersen fatto da Yinka Shonibare per la mostra “Yinka Shonibare, Be Muse” al museo Andersen dal 5 dicembre 2001 al 3 marzo 2002, collocata accanto al busto di Henry James. Qui andrebbe aperto un capitolo a parte rispetto al forte legame tra i due artisti, fatto di una fitta relazione artistica e personale che durò fino alla morte di James nel 1915. Nella prima sala dedicata alle sculture dell’artista, ci accoglie una bellissima e sinuosa ginnasta con palla che mostra una forte ispirazione nel portare con se’ l’attrezzo .
Si prosegue con la rappresentazione statuaria di due sante e due bambini, tutti sorpresi in un abbraccio familiare coinvolgente. Poi una Crocifissione con sotto le due donne che piangono il corpo di Gesù, probabilmente le due Marie: la Madonna e la Maddalena. Vi si accosta inoltre una sorta di “Pietà di gruppo”, in cui cioè ben è espresso il senso di forte attenzione alla marmorizzazione del Cristo da parte di varie donne. Segue la rappresentazione della Famiglia Andersen in due bassorilievi, in cui sono presenti: la sorella Lucia (adottata formalmente nel 1919, ma convivente già cogli esponenti della famiglia nel 1903), Olivia Cushing (futura compagna di Andersen) e Andersen stesso.
Vennero eseguiti nel 1926 a Saltino Vallombrosa (vicino Firenza) come si evince dall’iscrizione di uno dei due (luogo dove gli Andersen villeggiarono fino al 1908). Busto di Andreas M. Andersen (Bergen 1869-Boston 1902), fratello maggiore dello scultore, che fu pittore sconosciuto fino all’apertura del Museo Andersen nel 1999. La sesta opera è una ricostruzione quasi fededegna al massimo, dell’Apollo e Dafne di Bernini, ma l’abbraccio è frontale e, al posto di Apollo, si trova un Angelo. Segue la rappresentazione marmorea di un uomo e una donna in un abbraccio appassionato, quasi simile ad una coreografia coreutica. C’è da rimarcare che tutti i corpi delle sculture di Andersen sono pressocchè fusi tra loro in abbracci (il più delle volte frontali) e costituiti da un senso di enorme plasticità data dalla forte estensione dell’anatomia, che vanno, in alcuni casi, quando ravvicinati in gruppo, a contorcersi .
Ci troviamo di fronte ad un’enorme costruzione scultorea composta da quattro corpi, di maschi e femmine che si avvitano attorno ad un unico corpo al centro di una base. É uno dei gruppi monumentali bronzei circolari destinati alla “Fontana della Vita”, grandiosa ricostruzione che doveva esser collocata davanti al Palazzo delle Arti nel progetto anderseniano del World Centre of Communication. Gli altri gruppi rappresentavano: Il Mattino, La Sera e la Notte. Altre sculture (tutte tra il 1904 e il 1908), facevano parte della stessa Fontana, come ad esempio: La Fratellanza, La Gioia di vivere e Amore.
Il nono corpo scultoreo vede due giovinetti abbracciati in cammino, sempre rammentante una toccante coreografia. Seguiranno poi, nel percorso verso le varie sculture, moltissimi corpi che rappresentano uomini e donne, (per lo più coppie ), con tra le braccia, innalzati, dei neonati, bambini che stanno ad esser sostenuti, sembra, da un forte legame quasi coniugale, molto amoroso e decisamente coinvolgente nello sguardo e nelle espressioni del volto e degli stessi andamenti corporei. La più caratteristica è “La Famiglia”, dove viene sempre rappresentata una coppia con bambini su entrambe le spalle dei due; statua in bronzo, che rivela grande senso di gioia.
Segue la stessa costruzione in marmo, ed una donna sola con un bambino in braccio in cui si accentua un forte senso spaziale. Fino al diciottesimo elemento scultoreo troviamo sempre corpi torti ed incastrati tra loro, anche in qualche busto. La diciottesima costruzione scultorea è particolare perché vi ritroviamo due centauri giganteschi che si baciano, in una determinata contorsione di corpi, delineta, forse, anche e proprio dallo sguardo appassionato.
Da rimarcare vi è un complesso bronzeo dedicato al fratello , morto a Boston nel 1904. È da rammentare che il corpo scultoreo fu fatto fondere in Germania a Geislingen, e poi, sulla via del ritorno a Roma, esposto al Salon di Parigi nel 1914. Nel 1918 fu collocato sopra il sacello della tomba della Famiglia, al Cimitero Acattolico della Piramide Cestia; fu poi riportato nella Fonderia tedesca, e per varie vicissitudini, esposto nella Casa Andersen a Via Mancini, a Roma solo nel 1947, dopo la morte dell’artista, per volontà di Lucia.
Si può affermare, con certezza che le sculture ed i ritratti (in numero più esiguo, ma non da escludere nel suo panorama artistico) sono da considerarsi, oltre che di magnifica fattura, anche di enormi dimensioni, e pur laddove esse (in quei pochissimi casi, d’altronde) siano quasi minuscole nelle forme , rappresentano sempre torsioni e ravvicinamenti di corpi nello svolgimento di movimenti armonici e, quando non tali, di sicuro impatto emotivo e plastico, tanto da farli ritenere opere di indubbio valore e forte senso del pudore, anche quando non in atteggiamenti casti o quando (e non di rado, per non dire sempre) nudi.
C’è da ricordare, in quest’excursus, un “poeta del bronzo e del marmo”, un artista della rappresentazione scultorea, ben definita, ma non per questo univoca o troppo statica.
Michela Gabrielli
9 ottobre 2012