Forest City: il sogno urbano tra giungla e tecnologia che si è trasformato in una città fantasma

C’era una volta un futuro. Uno di quelli fatti di grattacieli verdi, mobilità elettrica, intelligenza artificiale ovunque, città autonome e sostenibili che galleggiano sul mare. Un futuro pensato non per domani, ma per adesso. E quel futuro aveva un nome: Forest City. Costruita su quattro isole artificiali al largo della costa meridionale della Malesia, a due passi dalla potente Singapore, Forest City prometteva di essere la “città intelligente del domani”. Un progetto da 100 miliardi di dollari, avviato nel 2016 dalla gigante cinese Country Garden, che sognava di creare una metropoli verde, high-tech, popolata da centinaia di migliaia di professionisti internazionali e pensionati facoltosi.
La visione era ipnotica: edifici coperti di vegetazione, traffico sotterraneo, parchi ovunque, niente auto in superficie, una “Singapore 2.0” ma più accessibile. A investire nel sogno c’erano anche investitori istituzionali della regione e lo stesso Stato di Johor. Forest City doveva diventare il simbolo di un nuovo modello di urbanizzazione: sostenibile, inclusiva, tecnologica, smart. Eppure, a distanza di pochi anni, quel sogno si è inceppato. Le immagini recenti raccontano una realtà molto diversa. Strade vuote, grattacieli vuoti, centri commerciali silenziosi, passerelle abbandonate che terminano nel nulla. Una città costruita, ma non vissuta.
Forest City è diventata una città fantasma, e il suo nome rimbalza oggi nei media come esempio di urbanistica fallita, ma anche come cartolina inquietante del nostro rapporto con la tecnologia e la pianificazione urbana. A ben vedere, il naufragio di Forest City non è stato improvviso, ma il risultato di una tempesta perfetta. Da un lato, il governo cinese – inizialmente entusiasta del progetto – ha introdotto nel 2017 restrizioni agli investimenti immobiliari esteri, colpendo proprio quel target di investitori facoltosi cinesi cui Forest City si rivolgeva. Senza l’afflusso di capitali previsti, gli appartamenti sono rimasti invenduti.
Dall’altro, la pandemia da Covid-19 ha congelato il turismo, impedito viaggi internazionali e accelerato la disconnessione di Forest City dal mondo reale. Lontana da qualunque centro urbano malese, ma anche troppo costosa per i locali, la città ha finito per rimanere isolata in tutti i sensi: geografico, sociale ed economico. A complicare tutto, c’è anche l’impatto ambientale. La costruzione delle isole artificiali ha danneggiato la costa, compromesso la biodiversità marina e sollevato dure critiche da parte di ambientalisti e comunità locali.
Il paradosso? Una città progettata come “verde” ha finito per devastare l’ambiente che l’avrebbe dovuta ispirare. Eppure, Forest City non è del tutto abbandonata. Da qualche mese, alcune luci si sono riaccese. Il merito – almeno in parte – è di un nome noto nel mondo della tecnologia: Balaji Srinivasan, ex CTO di Coinbase, investitore visionario e autore de The Network State. Srinivasan ha scelto proprio Forest City come sede della sua Network School, un programma residenziale intensivo pensato per formare giovani leader digitali, hacker, filosofi del cyberspazio e pionieri delle “nazioni di rete”. Per tre mesi, una comunità di oltre 100 partecipanti ha vissuto nella città fantasma, trasformandola – almeno temporaneamente – in un laboratorio vivente.
Le attività si sono svolte tra hotel, sale conferenze e spazi commerciali inutilizzati. Il programma mescolava coding, governance digitale, economia cripto e filosofia politica, con l’idea che anche una città fallita possa rinascere come piattaforma educativa e sperimentale. Forest City è così diventata un esempio di recupero non convenzionale: da città vuota a sede di una scuola radicale, che non cerca tanto di abitare il presente, quanto di costruire il futuro.
Il governo malese, nel frattempo, ha cercato di rilanciare Forest City come zona economica speciale, offrendo incentivi fiscali per attrarre investitori e imprese. Ma le domande restano aperte. Chi vivrà davvero in Forest City? È possibile trasformare un’utopia fallita in un ecosistema reale? Quanto può resistere un’architettura senza comunità? Forse il vero lascito di Forest City non sarà urbanistico, ma simbolico: una riflessione concreta su cosa accade quando si costruisce una città senza radici, senza storie, senza persone. E su come, a volte, le rovine di un’idea troppo grande possono diventare terreno fertile per immaginare qualcosa di ancora più radicale.