Il gran gioco della lupa
Nato con l’idea di candidare Roma come sede di un’esposizione che nel 1942 avrebbe accolto tutti i paesi del mondo, quello che è diventato un manifesto architettonico dell’Italia fascista – staccato dalla città storica ma emanazione di essa – in realtà, sarebbe dovuto diventare “la capitale di un paese in cui passato, presente e futuro” fossero “finalmente connessi”. Pare che il sogno inconfessabile di Benito Mussolini infatti fosse quello di trasferire tutti i palazzi del Potere (dai ministeri alle grandi aziende dello Stato) nel quartiere dell’Eur. Ufficialmente tutto era riconducibile alla mitopoietica della rievocazione della Roma antica con una proiezione dell’Impero nell’avvenire, ufficiosamente, il Duce non sopportava la “romanizzazione dello spirito” dei grandi funzionari, burocrati e gerarchi del regime che inevitabilmente si perdevano, all’ombra del cupolone, nei vicoli si un centro storico intriso di bellezza e, pertanto, di vanità. L’Eur con i suoi grandi viali, gli edifici razionalisti, costruiti col marmo bianco, rappresentava la perfetta nemesi della perdizione.
Ma la città è eterna, e l’essenza, che ne fa la sua grandezza, non puoi modificarla. Roma. L’unica capitale che non è una metropoli. La città più orientale d’Occidente, più occidentale d’Oriente; il villaggio più settentrionale d’Africa, più meridionale d’Europa. Un caravanserraglio di spie, cospiratori, eminenze, un crocevia strategico, un regno esoterico, esclusivo, che si svela poco a poco, dietro alle grandi facciate, il dell’impossibile, dove tutto è possibile, dove i segreti diventano sigilli e allo stesso tempo delle profezie. Ma è anche luogo di Bellezza, che per sua natura resta un mistero divino, un elemento imprescindibile, una cornice ultra-terrena, capace di trasformare un viaggio in un assalto, un lavoro in una missione, un appuntamento in una congiura. È un gioco di equilibrismi, dove si pratica l’arte della dissimulazione, è un cavallo su cui si sale e si scende, un fuoco che scalda ma che brucia, se non si è all’altezza. È un gran gioco dell’oca (o della lupa) in cui ogni sanpietrino è una casella, in cui non esiste sorte, ma solo la Provvidenza. Non vince chi arriva per primo, ma chi rimane in piedi.