Le donne che subiscono abusi sono più di quanto pensiamo
Un gruppo di deputati, consulenti dei gruppi politici e assistenti ha inviato una lettera al presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, in cui lo informano che anche all’interno del Parlamento avvengono abusi e molestie. Il presidente Tajani ha risposto in modo chiaro «Il Parlamento continuerà a praticare una politica di tolleranza zero nei confronti di ogni forma di abuso. Se dovranno essere prese sanzioni, infliggerò la punizione più dura a chi infrange le nostre regole». Eppure al momento del voto per una risoluzione a questi problemi, alla quale si sta lavorando, l’aula è semideserta, solo alcune decine di deputati. Alcune parlamentari denunciano esplicitamente la presenza di abusi anche tra le mura del Parlamento: Malin Bjork, svedese, afferma «Dobbiamo rompere il silenzio che c’è anche in quest’aula» e le fa eco la deputata 5 stelle Daniela Aiuto «Il Parlamento, come ogni altro posto di lavoro, non è immune a questo fenomeno».
Dopo lo scoppio del caso Weinstein pare che anche nel Parlamento Europeo ci siano problemi di abusi nei confronti delle donne. Per quanto ogni tipo di abuso o di violenza è deprecabile, fa un effetto ancor più strano sapere che avvengono nel luogo della democrazia per eccellenza, dove un intero continente viene rappresentato dai propri politici. Forse, in realtà, proprio perché è il luogo in cui i cittadini e le cittadine vengono rappresentati che ci fa capire come mai ci siano determinati fenomeni. I dati dell’Agenzia dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (FRA) parlano in modo chiaro: una donna su tre ha subìto un abuso, e solo il 14% lo ha denunciato.
Dopo i racconti delle vittime del noto produttore di Hollywood sui social network è stato lanciato l’hashtag #QuellaVoltaChe, con il quale centinaia di donne stanno raccontando i vari tipi di abusi e discriminazioni subite. L’idea è stata lanciata dalla scrittrice Giulia Blasi, che ha spiegato «è un progetto narrativo estemporaneo per raccontare le volte in cui siamo state molestate, aggredite, ma anche le volte in cui ci siamo sentite in pericolo e non sapevamo bene perché, e ci davamo delle cretine per esserci messe in quella situazione» per poi aggiungere sul suo sito «Di molestie nella vita, grandi e piccole, ne ho subite una certa quantità, semplicemente perché esisto nel mondo e sono femmina». L’iniziativa ha raccolto una grande adesione, tanto che centinaia di donne stanno raccontando le loro esperienze, in cui troviamo casi di violenza domestica, battutine nei luoghi di lavoro in cui si dà per scontato che la donna abbia usato il proprio fisico per ottenere dei risultati positivi, le reazioni delle forze dell’ordine che al momento della denuncia focalizzano l’attenzione sull’abbigliamento delle donne (come se indossare un capo firmato giustificasse un furto), e tanti altri ancora.
Se ci si rallegra per il fatto che molte donne trovino così il modo e, perché no, anche la forza di raccontare i propri vissuti con un semplice tweet, fa rabbrividire che siano così tante, e ancora di più, poiché moltissime altre probabilmente non lo hanno neanche raccontato sui social network se non lo hanno voluto denunciare alle forze dell’ordine. L’obiettivo da porsi è la sensibilizzazione, a tappeto, della società intera riguardo a questo tema. Si dovrebbe partire dalle scuole, dove invece, come emerso tempo fa, la donna nei libri dei più piccoli è ancora rilegata alla figura di madre e di casalinga (era un esercizio in cui andavano associate due parole logicamente): per quanto possa sembrare insignificante, invece, continua ad alimentare lo stereotipo della donna che non pensa ad un lavoro, magari anche ad una carriera, com’è normale invece per gli uomini. Si dovrebbe iniziare a pensare che essere una donna non comporta alcun vincolo morale o etico, eppure se un uomo riesce ad avere più rapporti occasionali viene celebrato (recente la moda del “bomber”), mentre se è la donna allora non diventa una “bomber” ma giudicata e denigrata come “puttana”. Si dovrebbe anche provare una maggiore empatia, che invece non è mai presente: dopo la testimonianza di Asia Argento relativa alla sua esperienza di violenze subite da Weinstein, moltissimi e moltissime si sono sentiti in grado di poterla giudicare “perché non l’ha denunciato subìto?” “Facile ora che ha fatto carriera!”. No, non è affatto facile ora, soprattutto a causa di questa mentalità diffusa. Si deve capire che gli abusi partono da qui, dalla realtà quotidiana. Si deve capire che non bisogna per forza picchiarla una donna per farla sentire abusata o discriminata. Solo così, dal basso, le cose possono cambiare.