Di Maio e i ricami sulle sue dichiarazioni
«Sono pronto ad assumermi la responsabilità di fare il candidato premier del Movimento, se gli iscritti mi voteranno». Le recenti dichiarazioni rilasciate da Luigi Di Maio, attuale vicepresidente della Camera in forza al M5S, hanno aperto dibattiti d’ogni sorta e riempito le pagine dei giornali di teorie che in tutta franchezza ci saremmo risparmiati di leggere. E’ chiaro che la scomparsa di Casaleggio comporterà qualche aggiustamento – peraltro già discusso quando il cofondatore del Movimento era ancora in vita – e che in vista delle prossime elezioni ci sarà un po’ di concorrenza interna per la futura guida del Movimento ma al di là di questi aspetti pratici e verosimili, ogni altro ragionamento si configura come inutile accessorio che agisce in modo pernicioso, sottraendo spazio ad altre argomentazioni ben più importanti.
Come sottolineato dallo stesso Di Maio, sarà la rete a indicare quale sarà il futuro candidato alla presidenza del Consiglio per il M5S; un sistema che – piaccia o meno – è genetico nel Movimento e condiviso da chi sta al suo interno. La discussione, in sintesi, si esaurirebbe qui, proprio come la notizia tout-court, quella che tecnicamente ha in sé il ‘valore’ utile a determinarne la messa in pagina.
Ma quale ‘valore’ può avere ad esempio il parlare d’indebolimento della posizione di Di Maio a seguito della scomparsa di Casaleggio? sembra che si vada a cercare il cosiddetto pelo nell’uovo, comprensibile se impostiamo un articolo di commento o ‘di parte’ ma che si trasforma sostanzialmente in aria fritta quando l’intento è quello di fornire informazione in modo professionale e distaccato.
Come diceva Hegel, “Il giornale è la preghiera del mattino dell’uomo moderno” e se il lettore deve prestare massima attenzione a come ‘prega’, allo stesso modo chi domina il panorama dell’informazione dovrebbe tagliar via ciò che non costituisce il ‘valore’ notizia ed evitare d’inalberarsi su fronde di parole che anche il più inesperto dei contadini taglierebbe di netto senza indugio, dando così possibilità ai rami ‘forti’ – lèggi ad esempio disoccupazione, corruzione, scarso peso delle istituzioni (specie nei rapporti con l’estero) – di rinforzarsi ulteriormente e divenire in definitiva sia struttura portante del dibattito pubblico, assolvendo anche la funzione di ‘watchdog’ e di denuncia.