Violenze su disabili e bambini, pene troppo blande?
Ogni mestiere ha le sue difficoltà, occorre sacrificio, dedizione e tanto costante impegno: dal minatore all’astronauta ogni professione richiede competenza, una qualità che in certi settori si acquisisce soprattutto attraverso lo studio e il superamento di esami e corsi di abilitazione. Tra i mestieri che richiedono competenze e sensibilità particolari, troviamo quello dell’insegnante e quelli di assistente per disabili e persone anziane: attività nobilissime e al contempo delicate che – spesso lontane dal clamore mediatico – si rivelano essere di primaria importanza nella società contemporanea. In linea di massima, chi sceglie di dedicarsi all’educazione e alla cura degli svantaggiati lo fa perché spinto da un qualcosa di intimo, che va ben oltre il mero aspetto economico rivelando una bontà d’animo difficile da eguagliare. Purtroppo cronache più o meno recenti portano all’attenzione una realtà che dista anni luce dalla missione originale – educare e curare in modo professionale – e raccontano di violenze fisico psicologiche difficili da digerire per chi è ‘esterno’, figuriamoci per coloro che le vivono sulla propria pelle.
Fortunatamente i casi accertati sono relativamente pochi rispetto alla quantità di persone impiegate in questo tipo di mestieri ma – piaccia o meno – le violenze esistono e denunciarle pubblicamente nei giusti termini si rivela mossa utile, con buona pace di Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale dei Collegi degli infermieri Ipasvi, che in una nota dei giorni scorsi si è scagliata contro «la generalizzazione in atto da parte di alcuni mass media» che avrebbero a suo dire sparato a zero contro tutto il personale medico infermieristico, senza distinzione alcuna. «Il principale fraintendimento dei mezzi di comunicazione – ha spiegato Mangiacavalli – che ha raggiunto ormai livelli odiosi e intollerabili avviene quando si utilizza la qualifica di infermiere, che appartiene a oltre 430mila professionisti della salute laureati e integerrimi, attribuendola erroneamente a personale ausiliario, a operatori sociosanitari o ad altri operatori tecnici che, negli ultimi casi di violenza sui pazienti, si sono tacciati di azioni ignobili non solo per un’attività sanitaria, ma anche e soprattutto dal punto vista umano e morale. I direttori delle testate nazionali e locali, delle radio, delle televisioni e delle agenzie responsabili di ciò che da esse viene diffuso, dovrebbero intervenire, così come intervengono i responsabili della nostra professione, per scongiurare ulteriori pestaggi mediatici nei confronti di professionisti che, per come operano ogni giorno a fianco dei più deboli, certamente non lo meritano».
Siamo concordi nel sostenere che non si possa fare di tutta l’erba un fascio e che spesso in ambito giornalistico si adoperino generalizzazioni altisonanti ma – questo è il punto – non si possono più tollerare violenze nei confronti dei più deboli da parte di chi, invece, ha il nobile compito di assistere ed educare. Chi esercita la propria mansione con atti che ledono e mortificano la dignità dell’assistito non è degno d’esser definito professionista; le maestre dell’asilo Cip e Ciop – ad esempio – o le 14 persone colpevoli di violenze nella struttura per disabili di Decimumannu non solo meriterebbero la sospensione e il licenziamento ma dovrebbero essere private immediatamente dei titoli conseguiti per esercitare quel mestiere che – evidenze alla mano – non sono in grado di svolgere. Il presidente nazionale dell’Aias (Associazione italiana assistenza spastici) Salvatore Nicitra si è scusato per quanto accaduto a Decimumannu «Abbiamo la responsabilità morale» e nelle scorse ore ha annunciato di aver avviato tutte le procedure necessarie per il licenziamento dei responsabili: è un buon inizio ma – ribadisco – in questi casi occorre maggiore severità e la revoca dei titoli di studio e/o abilitazioni. Inutile ad esempio studiarsi a memoria un volume di scienze dell’educazione se all’atto pratico si prediligono modi sbrigativi e alieni rispetto a quanto suggerito in detto libro.
Mangiacavalli ha chiesto un intervento «diretto e immediato delle istituzioni e del ministero della Salute per primo che vigila sulle professioni sanitarie, perché fa parte dei loro compiti difendere e tutelare l’immagine di un servizio pubblico che opera solo nell’interesse dei cittadini e degli operatori che ne fano parte e ogni giorno dedicano se stessi, anche dal punto di vista umano e non solo professionale, alla salute dei cittadini». Siamo d’accordo ma il compito di tutela dell’immagine parte – prima ancora che dal Ministero – dall’Ente stesso e dalle persone che lo compongono: inutile, ad esempio, produrre leggi sui fannulloni se poi i singoli membri si coprono l’uno con l’altro, alimentando il perpetrarsi di scene squallide come quelle del Comune di Sanremo o come quelle emerse in alcune strutture ospedaliere, in cui i dipendenti sottraggono cibo e vettovaglie destinati ai pazienti. Dunque, il Parlamento inasprisca immediatamente le pene e dia maggiori garanzie a chi si espone denunciando i fatti ma la stessa inflessibilità e rigore siano adoperati anche dai singoli.