Quella di Luigi Mangione non è una frustrazione isolata

Uno scatto sul grilletto è quanto è bastato a Luigi Mangione per guadagnarsi le prime pagine di tutte le testate. D’altronde, non conta chi spara ma chi si uccide. Nello specifico, l’amministratore delegato del colosso assicurativo Medicare, Brian Thompson.
L’episodio non è solo una terribile pagina di cronaca nera, ma il sintomo di una profonda crisi sociale. Per capire il contesto, bisogna guardare agli Stati Uniti, dove il sistema sanitario, ostaggio di interessi privati, ha creato disuguaglianze tali da diventare terreno fertile per rabbia e frustrazione. Sentimenti riassumibili benissimo con le parole espresse da Luigi Mangione dopo la cattura:
“Quei parassiti se la sono cercata.”
Negli Stati Uniti, Medicare Advantage, il programma di assicurazione sanitaria per anziani e disabili, costa al governo americano 600 miliardi di dollari in più rispetto alla versione originale di Medicare. Questo perché il sistema si basa su un principio particolare: il governo paga una cifra fissa alle compagnie assicurative per ogni paziente iscritto, lasciando a queste il controllo della spesa. Ma le compagnie, a loro volta, sfruttano ogni cavillo possibile per massimizzare i rimborsi, spesso gonfiando artificialmente i rischi sanitari dei pazienti.

Un’indagine del Dipartimento della Sanità americano ha mostrato che il 13% delle richieste di cure presentate dagli iscritti a Medicare Advantage viene respinto, spesso senza giustificazione. Le negazioni sono così frequenti da sembrare parte di una strategia: ritardare o ostacolare le cure per contenere i costi, a scapito della salute dei pazienti. Non è raro, infatti, che trattamenti urgenti vengano posticipati o che le famiglie debbano affrontare un labirinto burocratico per ottenere ciò che spetterebbe loro di diritto. La testimonianza di un ex dirigente di un’importante compagnia assicurativa è emblematica:
“Non si tratta di offrire cure migliori, ma di ridurre i costi per gli azionisti.”
Non sono solo le assicurazioni a essere sotto accusa. Negli Stati Uniti, gli ospedali no-profit — istituzioni teoricamente destinate a servire le comunità più bisognose — stanno trasformandosi in boutique di lusso per i ricchi. Un’inchiesta del New York Times ha svelato come molte di queste strutture abbiano iniziato a chiudere i battenti nei quartieri poveri per aprire cliniche all’avanguardia nelle aree benestanti. A Boston, ad esempio, i ricavi degli ospedali sono aumentati a un ritmo quattro volte superiore all’inflazione negli ultimi dieci anni, mentre i servizi per i pazienti meno abbienti sono stati progressivamente ridotti. L’effetto di queste politiche è devastante: intere comunità stanno rimanendo prive di accesso alle cure, mentre le disparità sociali e sanitarie si ampliano.

E l’Italia? Anche il nostro Paese non è immune a queste dinamiche. Sebbene il Sistema Sanitario Nazionale sia ancora un esempio di universalismo, le crepe iniziano a farsi evidenti. L’aumento delle cliniche private convenzionate — strutture finanziate dal pubblico ma gestite come aziende private — rappresenta un campanello d’allarme. Ogni euro investito nel privato è un euro sottratto al rafforzamento del sistema pubblico. Il risultato? Liste d’attesa interminabili negli ospedali pubblici spingono i cittadini verso il privato, alimentando una spirale di disuguaglianze. Chi può pagare può sopravvivere, chi è svantaggiato viene lasciato indietro. Secondo Vittorio Agnoletto, medico e attivista:
“Ci stiamo avvicinando a un punto di non ritorno. La privatizzazione strisciante della sanità rischia di trasformare un diritto universale in un servizio elitario.”
Nonostante tutto, l’esperienza americana offre lezioni importanti. Medicare Advantage, pur con i suoi difetti, dimostra che una gestione oculata delle risorse può migliorare l’efficienza del sistema sanitario. Programmi che incentivano la prevenzione e riducono i ricoveri ospedalieri superflui potrebbero essere applicati anche in Italia, ma senza delegare il controllo alle compagnie private. Il rischio, altrimenti, è di scivolare verso un sistema dove il profitto detti legge, escludendo i più vulnerabili.

Un esempio positivo arriva dal sistema sanitario britannico, che negli ultimi anni ha implementato programmi di social prescribing, in cui medici e assistenti sociali lavorano insieme per affrontare le cause profonde dei problemi di salute, riducendo la dipendenza dai servizi privati.
Il caso di Luigi Mangione non è solo una vicenda di cronaca, ma un segnale d’allarme. Non giustifica la violenza, ma sottolinea quanto la percezione di un’ingiustizia sistemica possa generare rabbia. Gli Stati Uniti rappresentano un esempio lampante di come non gestire la sanità. Il rischio per l’Italia è chiaro: seguire quella strada significherebbe tradire il principio fondamentale del nostro sistema sanitario, ovvero che la salute è un diritto e non un lusso.