Julian Assange: epilogo di un’odissea kafkiana
Nella notte del 24 giugno sono esondate sulla rete le immagini di Julian Assange, intento a salire su un aereo. Il creatore di WikiLeaks è tornato finalmente ad essere libero dopo dieci anni di vicissitudini e detenzioni.
Il suo girone infernale inizia con una detenzione ritenuta arbitraria dalle Nazioni Unite presso l’ambasciata dell’Ecuador a Londra dal 2012, per poi essere portato in detenzione nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh dal 2019.
Julian Assange e Cablegate
Questo percorso, parallelamente, a partire dal 2010 è stato costellato da indagini e accuse rivoltegli dagli Stati Uniti appunto per le pubblicazioni di Wiki Leaks. Materia principale dell’argomento: le guerre in Afghanistan e Iraq a cui è seguita la divulgazione da parte di Assange delle corrispondenze diplomatiche delle ambasciate statunitensi. Divulgazione che avrebbe preso celebre nome di Cablegate.
Cablegate altro non è che una serie di pubblicazioni realizzate da WikiLeaks in collaborazione con le maggiori testate giornalistiche mondiali, tra cui Guardian e New York Times. Grazie a questo immesno lavoro sono stati rivelati crimini di guerra, tra cui l’assassinio di due giornalisti di Reuters a Baghdad e altre decine di vittime del bombardamento immortalato dal reportage Collateral Murder. Anche in quest’ultimo caso, WikiLeaks pubblicò oltre 700mila documenti riservati provenienti dagli archivi dell’esercito e dell’intelligence Usa, forniti dalla whistleblower Chelsea Manning.
Una detenzione lunga e disumana
Julian Assange è stato perseguitate da ben tre diverse associazioni statunitensi: Obama, Trump e Biden. Tuttavia, grazie a un patteggiamento, Assange si è dichiarato colpevole di un capo di accusa su diciotto di quelli imputati ai sensi dell’Espionage Act davanti al tribunale dell’isola di Saipan. Inoltre, in via dei cinque anni che ha trascorso in carcere nel regno unito – e in virtù del loro essere riconosciuti come “time served” – Assange non andrà in carcere in attesa di conoscere l’esito della sua richiesta di estradizione da parte di Washington. In una vicenda giuridica che ha un retrogusto marcatamente kafkiano, il limbo di Assange – trascorso in isolamento dietro le sbarre – ha dato una certa notorietà al giornalista.
Un vero sollievo, soprattutto per la salute di Assange. Come è stato ricordato da Stella Assange (sua moglie) al Wired Next di Milano, la condizione fisica e mentale del marito stava progressivamente deteriorandosi in carcere. Ecco, quindi, la fine di una battaglia lunga quattordici anni che ha coinvolto organizzazioni per i diritti umani e una pletora enorme di testate giornalistiche. Uno scontro cruciale per la libertà di stampa che, in caso negativo, sarebbe significato 175 anni di reclusione, confermando nella giurisprudenza l’equazione tra giornalismo basato sul whistleblowing e spionaggio.
Una vittoria per la libertà di stampa
Una vittoria, come detto, fondamentale per la libertà di stampa. La fine dell’odissea kakfiana di Assange ha scongiurato la possibilità di vedere un giornalista marcire in carcere per aver semplicemente svolto il suo dovere. Il caso legale ha però coinvolto tre democrazie: gli Usa, il Regno Unito e la Svezia che, in barba ai richiami delle Nazioni Unite, tutto hanno fatto tranne il considerare i diritti fondamentali di un essere umano.
Nonostante ciò, Assange sarà comunque obbligato a riconoscersi colpevole accettando l’illegalità di una normalissima attività giornalistica. La battaglia, inoltre non finisce qui. Infatti, come ha dichiarato Reporters Without Borders, anche il finale del caso Assange potrebbe avere ancora conseguenze importanti sul giornalismo, e certamente preoccupanti. Si sviluppa, quindi, positivamente la storia di una vicenda che ha dell’epocale e, ancor di più, dell’inquietante. Una storia che dura da dieci anni in cui ancora tanto è da ricostruire e che obbliga a combattere per una società digitale che libera per davvero. Una storia che ha visto intorno a sé troppo silenzio, troppa ipocrisia, troppe e soffocanti distinguo. Anche di questo bisognerà ricordarsi, bisognerà farlo per Assange, per il giornalismo e la stampa del futuro.